Il DL della Sicurezza… o DL della paura

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Il 4 giugno 2025 anche il Senato ha votato a favore del Decreto legge sulla Sicurezza proposto dalla maggioranza. Il DL è stato molto criticato poiché discriminatorio e poiché limita la libertà di dissenso.

Non rimase nessuno a protestare

Negli ultimi mesi è stata scomodata spesso questa poesia, attribuita, forse erroneamente, a Bertold Brecht e al pastore luterano Martin Niemöller:

«Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare».

Il DL sicurezza sembra voler iniziare, o proseguire, l’instaurazione di questo stesso clima di terrore. Un sistema che prende di mira, innanzi tutto, le persone più indigenti, emarginate o che semplicemente fanno comodo al potere per distogliere l’attenzione sulle sue falle. Un meccanismo che potrebbe mettere in pericolo la libertà e la sicurezza di tutte e tutti noi. Paradossale, no?

L’iter per l’approvazione del DL sicurezza

Nel 2024 era stata presentata da Lega e Fratelli d’Italia la proposta di una nuova normativa per la sicurezza pubblica, che avrebbe introdotto e inasprito alcune leggi del codice penale. Per bypassare mote fasi di analisi alle Camere, la proposta è stata trasformata in decreto, con la scusa di un’emergenza.

Il Decreto Sicurezza, alla fine, è diventato legge il 4 giugno 2025 in Senato, con 109 voti a favore, 69 contro e 1 astenuto. Sono stati però eliminati alcuni passaggi controversi, come l’obbligo per le università e le pubbliche amministrazioni a collaborare con i servizi segreti.

Il DL sicurezza limita il dissenso politico

Generalmente parlando, il decreto punta a concentrare ancora di più il potere e i privilegi nelle mani di coloro che, questo potere, l’hanno già. Si può vedere chiaramente dal punto del decreto che impone una pena dai 2 ai 6 anni di reclusione e una multa da 300 euro per chi protesta contro il governo o i privati bloccando strade e ferrovie. Vi sono anche delle aggravanti: la violenza, minaccia o resistenza a pubblico ufficiale e l’impedimento alla realizzazione di infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici. Quindi, sostanzialmente, una legge studiata a tavolino per chi si oppone a opere quali la TAV e il ponte sullo Stretto di Messina.

È poi prevista la reclusione da 6 mesi a 1 anno e mezzo con una multa da 1.000 a 3.000 euro per chi deturpa e imbratta beni mobili e immobili adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche qualora abbia la finalità di ledere l’onore, il prestigio o il decoro dell’istituzione. Un ostacolo ingente a chi lotta per garantire a tutte e tutti un futuro migliore, chiedendo pacificamente provvedimenti contro la crisi climatica. Al di là che il concetto di “decoro” come discriminante è quanto di più antico si possa inserire in una legislazione, la pena è decisamente eccessiva, contando che si parla di persone generalmente di giovane età che cercano di portare l’attenzione su un tema che non è considerato, se non proprio grazie a quegli atti di protesta.

Insomma, come scrive Emilio Dolcini, professore di Diritto Penale all’Università degli Studi di Milano: «con il DL, hanno assunto rilevanza penale anche condotte di protesta pacifica. La disobbedienza civile è diventata reato. Nell’Italia di oggi Gandhi finirebbe in carcere!».

L’importanza del dissenso per una democrazia

La libertà di criticare il potere è un punto cardine della democrazia, che questo governo ha elogiato poiché ha permesso loro di raccogliere voti. La democrazia, però, non può funzionare solo finché viene appoggiata la propria parte. Anzi, il sintomo di un buon funzionamento democratico è la possibilità di sentire più voci. E, proprio per la disparità tra chi ha il coltello dalla parte del manico (il governo) e chi non ce l’ha (le opposizioni e la popolazione), questi ultimi sono legittimati ad alzarla, quella voce, con le proteste.

In più, senza critiche esterne al potere, non si verrebbe mai a conoscenza di ciò che stanno facendo bene e di ciò che invece non funziona. Se ad essere accettato è soltanto l’elogio, nessuno, nemmeno il governo stesso, capirebbe dove può migliorare o se sta migliorando.

Il DL sicurezza e le rivolte in carcere

Da migliorare, per esempio, è il sistema carcerario italiano. I detenuti e le detenute si ribellano da anni per le condizioni pessime in cui sono costretti e costrette a vivere. Il sistema carcerario italiano non ha una funzione rieducativa e contribuisce ad aumentare la recidiva. Dopo l’approvazione del DL sicurezza, chi organizza o partecipa a una rivolta in carcere viene punito/a con la reclusione da 1 a 8 anni. La pena sale a 3 – 10 anni se vengono utilizzate armi. La pena aumenta (dai 10 ai 20 anni) qualora si causino delle ferite o la morte di qualcuno durante la rivolta.

Costituisce reato anche la resistenza passiva atta a impedire il compimento degli atti dell’ufficio o del servizio necessari alla gestione dell’ordine e della sicurezza. A differenza del primo disegno di legge devono però essere in gioco l’ordine e la sicurezza nell’istituto. In ogni caso, è fuori da ogni logica che il “non obbedire” sia considerato alla stregue di una rivolta e che sia punito così duramente.

Anche nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) è punito con la reclusione da 1 a 6 anni chi promuove, organizza e dirige una rivolta. La sola partecipazione alla rivolta prevede una pena da 1 a 4 anni. Il tutto avviene nel totale disinteresse nel capire e agire sulla causa delle proteste.

La situazione nelle carceri italiane

Nel 2024 ci sono stati 91 suicidi in carcere, il tasso più alto numero registrato. Dei 54 istituti in cui si sono verificati suicidi, 51 registrano un alto indice di sovraffollamento. Non c’è da stupirsi visto che le persone chiuse in carcere sono più di 62.100, ma la capienza effettiva degli istituti italiani è di circa 47.000 posti. Capienza che è diminuita negli anni a causa l’incuria degli istituti di reclusione e, quindi, dell’inabilità dei locali.

Il tutto concorre all’aumento delle recidive e alla difficoltà del reinserimento dei/delle carcerati/e nella società al fine, giusto appunto, della sicurezza pubblica. Anche il personale di polizia penitenziaria dovrebbe collaborare per rendere possibile un sistema carcerario migliore. Dovrebbero quindi essere a loro volta educati/e e supportati/e da assistenti sociali. Con il DL sicurezza, invece, gli/le agenti sono sempre più chiamati a incarnare il terrore e la sopraffazione dei più deboli. Le carceri non sono nuove a episodi di abusi di potere e torture verso i/le detenuti/e.

I CPR, poi, ospitano persone che non hanno commesso reato, se non quello di aver chiesto accoglienza a un paese che credevano più prospero, più sicuro e più democratico del loro. E che, a quanto pare, non lo è affatto.

Il DL sicurezza crea capri espiatori

Insomma, il DL sicurezza si dimostra essere solo un modo per girare la testa dall’altra parte rispetto a un sistema carcerario e di (non) accoglienza non funzionanti. E anche, come ho detto, per creare capri espiatori. Con il decreto, infatti, il carcere diventa obbligatorio per donne incinte madri di figli che hanno meno di un anno. Gli istituti di custodia attenuata sono previsti per le detenute solo se per la giustizia non esiste il rischio che la donna commetta altri reati. In questi casi i neonati resteranno in carcere.

Si tratta, qui, di un possibile terreno fertile per discriminazioni in base alla persona che, come dice Dolcini, «sancisce il passaggio pericoloso da diritto penale “del fatto” a favore di un diritto penale “d’autore”». Sarebbe a dire che la pena non guarda a ciò che l’individuo fa, bensì a quel che l’individuo è, secondo stereotipi più o meno plausibili, come per esempio quelli sulle donne di etnia Rom, accusate sistematicamente di borseggi e di sottrarsi al carcere attraverso gravidanze e maternità, sulla base di casi isolati. Un po’ come se ci considerassero mafiosi ogni volta che usciamo dai confini nazionali (cosa che talvolta succede, e che ci infastidisce pure).

Oltre che una violazione dei principi costituzionali di tutela della maternità e dell’infanzia, il Decreto ostacola anche il principio di umanità della pena. Tanto più considerando le condizioni delle carceri italiane e dei pochi posti disponibili nei soli quattro istituti a custodia attenuata per detenute madri: tre nel nord Italia e uno al sud. Il che pone anche un problema di distanza dal luogo di residenza del resto della famiglia.

Daspo urbano

Di natura similmente discriminatoria è il “daspo urbano”, già in parte in vigore con l’istituzione delle cosiddette zone rosse”. Ora viene esteso a chi è stato denunciato o condannato, anche in via non definitiva, nei cinque anni precedenti, per delitti contro la persona o contro il patrimonio realizzati nelle aree interne e presso infrastrutture ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale.

Questi provvedimenti, ancora una volta, aumenterebbero la marginalizzazione e l’esclusione sociale, oltre che la stigmatizzazione di alcune persone. La lettera scarlatta dell’ “individuo pericoloso” può influire su una persona per tutta la vita, compromettendo per sempre la sua integrazione e, quindi, inasprendo i suoi comportamenti.

Non si affrontano invece le cause strutturali della povertà e della piccola criminalità, ovvero la mancanza di accoglienza e integrazione, un’ istruzione e un’educazione di qualità per tutte e tutti, una sanità accessibile e non troppo costosa, che può portare le persone a fare di tutto per avere un po’ di denaro.

Le SIM telefoniche

Non esula da un meccanismo discriminatorio anche la norma per cui, per acquistare una sim telefonica, le persone dovranno presentare un documento d’identità. Inizialmente il decreto prevedeva anche l’obbligo di permesso di soggiorno, ma questa clausola non è stata approvata. La nuova legge prevede la chiusura da 5 a 30 giorni delle attività che vendono SIM senza identificare i/le clienti. Se la pretesa del permesso di soggiorno, per cui servono mesi di lunga burocrazia, era un’assurdità, lo è anche quello dell’identità. Per chi migra, magari dopo aver oltrepassato condizioni di viaggio terribili, non è scontato essere munito di documento.

Il non poter avere contatti con le istituzioni se non attraverso gli Internet Point, può precludere o rallentare gli stessi iter burocratici che permettono di ottenere documenti, lavoro, permesso di soggiorno. Il contatto con i propri familiari o con le persone nuove conosciute nel luogo di destinazione può essere fondamentale per segnalare situazioni al limite della legalità e quindi chiedere aiuto. Senza contare il diritto di un essere umano a parlare e sfogarsi con le persone a lui care.

L’impossibilità di comunicare come chiunque da decenni per via telefonica e sulla rete alimenterà la frustrazione, l’isolamento e l’esclusione. Questo vorrebbe dire consegnare queste persone direttamente nelle mani di sfruttatori e caporali oppure della piccola criminalità. Il contrario di ciò che serve per avere sicurezza.

Più punizioni per gli occupanti

Nel decreto troviamo una stretta anche sulle occupazioni abusive delle abitazioni, con sette anni di carcere massimi previsti per tale reato. Questo denota una non conoscenza della situazione abitativa italiana e della natura di questi gesti. Chi occupa non sono giovani viziati che vogliono scappare dai genitori o che arbitrariamente occupano case di anziani, come vuole la narrazione dominante. Sono persone che non riescono a permettersi una casa, perché troppo costosa o perché rifiutati dagli affittuari.

Chiunque abbia preso casa in affitto sa quante garanzia vengano richieste. Una situazione che peggiora per persone che appartengono a minoranze marginalizzate. A volte, poi, ad essere occupate sono le stesse case popolari, il cui iter di assegnazione è lungo e difficile, chi le gestisce ne fa un uso illegale.

La cannabis light

Nemmeno da commentare il divieto di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio,  trasporto, invio, spedizione e consegna di “cannabis light”. Questa sostanza, che è priva di principi attivi stupefacenti, è stata equiparata a quella con effetti psicotropi. Un’operazione totalmente anti scientifica e che preclude nuove forme di ricerca e imprenditorialità in questo settore. Questo aumenterebbe le persone processate e incarcerate, intasando un sistema giudiziario già allo stremo. Il DL sicurezza, in generale, porterà a un aumento delle presenze in carcere e inciderà dunque sul sovraffollamento e sul fallimento della prevenzione.

Il DL sicurezza tutela le forze dell’ordine

A fronte di un inasprimento delle condizioni di chi commette o “potrebbe commettere” piccoli reati, non manca nel decreto la maggiore tutela per le forze dell’ordine. Le quali detengono già più potere di altre persone e che sono già più tutelate in virtù della loro divisa e delle loro armi.

Poliziotti, vigili del fuoco e militari indagati o imputati nei procedimenti riguardanti fatti inerenti al servizio svolto non saranno più sospesi automaticamente. Anzi, lo stato stanzierà dei soldi per far fronte alle spese legali fino a diecimila euro per ogni fase del processo. Si consente poi l’utilizzo di bodycam per le forze di polizia con una sovvenzione statale di oltre 23 milioni di euro nel triennio 2024-2026. Il fine è di registrare l’attività operativa durante i servizi di mantenimento dell’ordine pubblico e di vigilanza.

Il decreto introduce anche il nuovo reato di lesioni personali a ufficiali o agenti di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza mentre svolge le sue funzioni. Le pene sono da 2 a 5 anni per lesioni semplici, da 4 a 10 anni per lesioni gravi, da 8 a 16 anni per lesioni gravissime. Una differenza sostanziale rispetto a oggi, con il reato circoscritto alle sole lesioni personali subite da agenti di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive.

A cosa servono le maggiori tutele, se già gli agenti si trovavano in una posizione di favore? Forse a farli sentire ancora più legittimati e difesi nell’applicare allontanamenti, divieti, minacce, creando un contesto di maggiore insicurezza per le minoranze, per chi non è supportato dal governo, per chi non ha armi e manganelli, per chi non ha il potere economico per affrontare le spese legali di un processo.

dl sicurezza

Forze di polizia e manifestanti il 25 aprile a Bergamo, foto di Iris Andreoni, 2024

Le critiche al DL Sicurezza

Il provvedimento è stato molto criticato delle opposizioni politiche, tanto che nell’aula del senato si è sfiorata la rissa. Non sono mancate lamentele da 80 organizzazioni umanitarie italiane ed europee, come Antigone, Human Rights Watch, Amnesty International e persino le Nazioni Unite. Queste ultime avevano invitato il governo italiano ad abrogare il decreto «che include disposizioni non in linea con il diritto internazionale in materia di diritti umani».

Anche l’Associazione antimafia Libera si è schierata contro il decreto, dicendo che “rischia di alimentare discriminazioni e di compromettere i diritti fondamentali”. Avviso Pubblico, l’associazione degli Enti contro le mafie e la corruzione, ha lanciato un appello avvertendo sul pericolo «di una eccessiva compressione di diritti e libertà fondamentali». Appello che hanno firmato oltre 200 costituzionalisti, il Consiglio superiore della magistratura, l’associazione nazionale magistrati e l’Unione delle camere penali. A criticare il nuovo decreto è stato anche il Consiglio direttivo dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale (AIPDP), i quali affermano come il DL si scontri con i «principi di proporzionalità e sussidiarietà ed opera solo in funzione simbolico-comunicativa, senza che ciò significhi assicurare strumenti dotati di maggior efficacia nella tutela della sicurezza individuale e collettiva».

Di chi dobbiamo avere paura?

A questo punto è chiaro come non bisogna avere paura delle minoranze, ma anzi della maggioranza, il cui potere sulla vita delle persone è sempre maggiore e preclude una società più sicura, pacifica e inclusiva. Non dobbiamo avere paura di attivisti e attiviste che buttano del colore sui monumenti o bloccano le strade, ma della classe dirigente che ignora la crisi climatica. Non bisogna avere paura di chi occupa le case, ma di chi crea le condizioni perché quella per qualcuno sia l’unica alternativa. Non dobbiamo avere paura di chi è o è stato stato in carcere, ma di chi ha impedito loro di non vivere dignitosamente la loro vita e reintegrarsi nella società. A farci paura non deve essere chi consuma cannabis, ma di chi emana leggi punitive senza sapere la natura della sostanza che si vieta e lo fa con il solo scopo di creare capri espiatori.

Democrazia non significa libertà incondizionata per tutti e tutte, anzi. Talvolta si tratta, al contrario, di limitare un po’ della propria libertà con il fine più alto del benessere complessivo. Le regole, però, devono servire appunto al benessere sociale, non a quello dei pochi seduti sulle poltrone governative o che hanno una divisa della polizia. Inasprire le pene non risolve i problemi nel lungo periodo, anzi, li alimenta, creando divisioni sociali, paura, insicurezza.

Articolo a cura di Iris Andreoni

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