Esistono alternative a Spotify?
Mentre Daniel Ek, fondatore e CEO di Spotify, investe in droni da guerra, in questo articolo analizziamo le alternative esistenti all’applicazione più utilizzata per ascoltare musica.
Qualche mese fa è emerso come il CEO di Spotify, Daniel Ek, avesse realizzato investimenti milionari nella fabbricazione di droni da combattimento equipaggiati con intelligenza artificiale. Che la piattaforma di musica in streaming più utilizzata al mondo sia problematica non è una novità: scarse retribuzioni agli artisti, ascolti gonfiati sfruttando il sistema delle playlist, perfino artisti fake creati con l’IA sono alcuni dei ben noti cavalli di battaglia quando si parla di Spotify.
Ma in un contesto di crescente militarizzazione e di numerose campagne per il boicottaggio di festival che finanziano il genocidio palestinese, una marea di critiche si è abbattuta contro Spotify e potrebbe rappresentare un momento cruciale.
Dopo pochi mesi dalla notizia, solo una manciata di gruppi più o meno famosi ha annunciato l’abbandono della piattaforma a causa degli investimenti milionari del suo CEO. Particolarmente clamorosi sono stati gli addii di Deerhoof, Godspeed You! Black Emperor, King Gizzard & the Lizard Wizard o Xiu Xiu, ma sembra complicato che grandi nomi abbandonino questo importante canale di promozione. Già in passato artisti famosi come Neil Young o Joni Mitchell sono tornati a testa bassa dopo aver abbandonato Spotify per diversi motivi. Dal momento che gli ascoltatori continuano a usare l’applicazione, sembra difficile lasciare a carico di artisti e artiste la decisione di andar via.
Altre multinazionali che fanno concorrenza a Spotify
Dal punto di vista di chi ascolta musica, Spotify non è l’unica piattaforma con servizio di streaming online, esistono altre aziende che gli fanno concorrenza come Apple Music, Amazon Music, Deezer, Pandora Media, Tidal, SoundCloud e anche YouTube Music. Abbandonare una multinazionale per gettarsi nelle braccia di un’altra con un’etica ancora peggiore, però, non sembra una valida alternativa, motivo per cui possiamo scartare Amazon, Apple e YouTube, proprietà di Google, visto che non esistono big tech della Silicon Valley senza peccato.
Queste grandi aziende tecnologiche però non sono le uniche nell’industria dello streaming musicale ad avere interessi opinabili. Tra le altre grandi piattaforme musicali con maggiore quota di mercato, Deezer appartiene a Access Industries, del multimilionario ucraino Leonard Blavatnik, che a sua volta possiede la multinazionale Warner Music. Curiosità: Blavatnik possiede attualmente i diritti televisivi della Serie A di calcio insieme a Telefónica.
A seguire nella lista, Pandora Media è in mano al gruppo Liberty Media Corporation, lo stesso che possiede Live Nation, multinazionale che, tra gli altri servizi relativi alla musica dal vivo, possiede Ticketmaster, un vero e proprio monopolio nella vendita di biglietti per i concerti, a cui si deve il loro elevato costo.
Il multimilionario Jack Dorsey qualche anno fa ha venduto il social network Twitter e ha acquistato Tidal, ma da novembre 2024 ha annunciato che intende reindirizzare i suoi investimenti dallo streaming di musica alla miniera di Bitcoin, e in alcuni forum si prevede un futuro incerto per l’applicazione, che già se la passa male tra problemi di qualità di ascolto e licenziamenti. Per quanto Tidal sia una delle piattaforme che di più paga gli artisti in royalties, non smette di essere un’impresa vulnerabile alle contraddizioni etiche insite nel capitalismo. Senza spingerci oltre, fino a settembre 2024 il CEO di Tidal è stato Jesse Dorogusker, che compare sul sito web dell’organizzazione sionista z3 come sponsor platino avendo donato almeno 10 mila dollari.
Sound Cloud ha sempre avuto un’aura da laboratorio di sperimentazione per gli artisti prima di fare il salto al mainstream e costruire la fanbase da Spotify. Si utilizza anche per condividere mixtapes e sessioni di DJ e conta su un catalogo di oltre 400 milioni di brani. Per avere un’idea: Spotify ne ha circa 100 milioni. Di recente è balzato agli onori della cronaca per la modifica dei termini di utilizzo che introducevano l’uso dell’intelligenza artificiale, cosa che ha dovuto modificare per mettere a tacere le critiche.
Modelli alternativi
Oltre alle applicazioni più conosciute, esistono piattaforme con modelli differenti che iniziano ad attestarsi come alternative per chi non vuole sostenere piattaforme con pratiche discutibili.
La piattaforma Bandcamp ha un modello diverso: senza intermediari, i gruppi caricano dischi e canzoni che possono essere acquistati e ascoltati sui propri dispositivi o sull’applicazione stessa. La piattaforma trattiene una commissione tra il 18 e 10% per ogni acquisto e si calcola che nel 2024 abbia distribuito agli artisti 564 milioni di dollari. Per gli artisti è possibile anche vendere merchandising e dischi fisici, così come inviare comunicazioni ai fan via mailing list. Eppure le critiche non mancano: nel 2013 l’azienda di videogiochi Epic Games l’ha comprata e rivenduta licenziando nel mentre il 16% dell’organico. Ultimamente hanno aggiunto la possibilità di creare playlist personali con la musica acquistata. Come protesta per gli investimenti militari del padrone di Spotify, il gruppo Godspeed You! Black Emperor ha eliminato la maggior parte del proprio catalogo da tutte le piattaforme mantenendo i suoi dischi solo su Bandcamp.
In Francia nel 2007 è nata Qobuz che si vanta di avere i maggiori standard qualitativi nel mercato di streaming. Inoltre, offre un modello ibrido simile a quello di Bandcamp consentendo l’acquisto diretto di dischi digitali mentre gli artisti vengono pagati con la percentuale più alta di retribuzione per ascolto che la piattaforma sostiene tramite abbonamenti mensili da parte degli utenti. La mancanza di grandi nomi in catalogo e il costo elevato dell’abbonamento sono i principali ostacoli per ottenere maggiori utenti.
In un reportage del 2021 il giornale El Salto aveva fatto da cassa di risonanza per la cooperativa Resonate che sembrava una promessa di gestione etica di etichette e artiste indipendenti ma, ad oggi, sembra essere inattiva. Da quanto si può leggere sul loro sito, “al momento ci stiamo prendendo una pausa per lavorare sul nostro sistema” e la loro attività social non viene aggiornata dal 2023.
Come creare il tuo Spotify personale
Oltre a tutte queste proposte, Marta G. Franco ha lanciato sul suo account nel fediverso Redes Nuestras un manuale con cui ognuno può creare una propria piattaforma di ascolto in streaming mediante un assistente personale online, a partire da canzoni acquistate su piattaforme come Bandcamp, o scaricate da Archive.org nel caso di archivi liberi da diritti, tra le altre opzioni. Suggerisce anche siti web per scoprire musica nuova, tra le altre proposte molto interessanti.
Dopo aver domandato a Mastodon, alcune utenti hanno lanciato ulteriori alternative: dall’idea di creare da zero un’applicazione di streaming e webs esistenti con un profilo nel fediverso, come Mirlo o Bandwagon, c’è stato anche chi ha proposto l’applicazione Madsonic come personale libreria online di musica.
Sembra complicato abbandonare una piattaforma come Spotify, per abitudine e fruibilità e per la presenza di tanti artisti in catalogo, ma la realtà è che esistono una miriade di alternative che bussano alla porta dello streaming di musica, bisogna solo aver voglia di aprire.
Traduzione di Valentina Cicinelli via elsaltodiario.com
Immagine di copertina via perezgarrido.com
