È ufficiale: supereremo gli 1,5 gradi di riscaldamento globale
La fatidica soglia di 1,5 gradi sarà sicuramente superata. Se volessimo agire e mantenere l’aumento delle temperature sotto questa cifra, possiamo ancora emettere al massimo 130 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio. Sembra un numero enorme ma, ai ritmi attuali di emissioni, questa quantità di gas serra verrebbe emessa prima di tre anni da oggi.
Cosa significa 1,5 gradi
La soglia di 1,5° si riferisce all’aumento delle temperature medie globali rispetto ai livelli dell’era pre-industriale. Un periodo non ben definito, che ricopre a grandi linee l’arco di tempo tra la fine del settecento e l’inizio del novecento, cioè quando le emissioni di gas serra hanno iniziato a crescere e ad avere un impatto significativo sulle temperature globali.
In particolare, le emissioni di anidride carbonica, un gas fortemente climalterante, sono aumentate di mille volte e la concentrazione di questa sostanza nell’atmosfera è aumentata del 50% in pochi anni, passando da 280 ppm (parti per milione) a 420 ppm. Parimenti, le concentrazioni di metano, un altro potente gas serra, sono aumentate del 160%.
Queste oscillazioni delle temperature, certo, hanno sempre interessato il nostro pianeta. Ma è bene ricordarsi che, in primo luogo, ogni modifica dell’equilibrio ecosistemico può portare all’estinzione di intere categorie di esseri viventi, come accadde con i dinosauri o addirittura a estinzioni di massa. In secondo luogo, a causare questo riscaldamento non è stato un evento fortuito come l’eruzione di un vulcano, bensì le azioni umane. Infine, la velocità del riscaldamento è senza precedenti. Le stesse ingenti variazioni delle temperature che in passato accadevano in migliaia di anni, oggi si stanno verificando in meno di cento anni.
Gli accordi di Parigi
Allarmati dalla comunità scientifica, i rappresentanti di alcuni stati hanno iniziato a ritrovarsi alle conferenze sul clima, dette COP (Conference Of Parties), che si tengono ogni anno dal 1995 per decidere come affrontare la crisi climatica. La COP21 del 2015 era stata particolarmente importante, perché le nazioni partecipanti hanno firmato il cosiddetto “Accordo di Parigi“, concordando un ambizioso obiettivo comune: contenere il riscaldamento globale sotto i 2°C rispetto ai livelli pre-industriali e, possibilmente, sotto gli 1,5°C. Per riuscire si sarebbero dovute ridurre notevolmente le emissioni di gas serra. Senza questo accordo e continuando business as usual si prevedeva un aumento di 4 o 5 gradi delle temperature globali, con conseguenze inimmaginabili per l’equilibrio del pianeta.
Né il limite di 1,5° e nemmeno quello di 2° erano però vincolanti e quelle cifre erano per molti per lo più simboliche. Almeno fino alla pubblicazione di un report dell’IPCC (Intergovernamental Panel of Climate Change) nel 2018. Qui vengono elencate con allarmante precisione le conseguenze di un aumento delle temperature oltre le due soglie indicate a Parigi.

Manifestazione per il clima in Germania. Foto di Mika Baumeister, 2019 (Unsplash)
Cosa accadrebbe con 1,5 gradi in più
Le conseguenze per il clima non risparmierebbero nessun angolo del pianeta. Nel report, infatti, si menziona l’innalzamento dei mari, che causerebbe uno stravolgimento delle vite di chi vive nelle zone costiere. Il troppo caldo, poi, comprometterebbe la salute degli ecosistemi, sia marini che terrestri. Ogni specie estinta o prossima all’estinzione a causa di un habitat non più ospitale metterebbe a rischio l’intero cerchio della vita. Un po’ come una torre di Jenga i cui mattoncini sfilati indeboliscono sempre di più l’intera struttura.
I ghiacci, sciogliendosi, annullerebbero la loro funzione “rinfrescante”, aumentando ancora di più il riscaldamento stesso.nVerrebbe danneggiato poi tutto il settore agroalimentare per i danni alle colture e semplicemente per lo spostamento delle stesse a causa di condizioni climatiche non più favorevoli. L’aumento dei disastri naturali come alluvioni, uragani e inondazioni metterebbe in pericolo migliaia di persone e altri esseri viventi, con tutto ciò che questo comporta: crisi economiche e migrazioni di massa.
Questi effetti si vedono già, per quanto ci si ostini a guardare dall’altra parte. Contenendo le temperature sotto gli 1,5 gradi o i 2°, però, potremmo limitare i danni, comunque ingenti. Superare i 2 gradi, invece, sarebbe una catastrofe annunciata. Scienziate e scienziati predicono che, a un ritmo attuale di emissioni, potremmo superare gli 1,5 gradi già in questo decennio. Infatti non dovremmo emettere più di 130 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio in totale, il che equivale, per i ritmi attuali, a soli tre anni di emissioni.
La situazione attuale
Due anni fa, in occasione della COP28 di Dubai, si era detto che, per restare sotto agli 1,5 gradi, era necessario ridurre la combustione di carbone del 95%, di petrolio del 60% e di gas del 45% rispetto al 2019. Oggi siamo ormai rassegnati che questa drastica riduzione non ci sarà. E le conseguenze sono già tangibili.
Nel 2024 la temperatura media globale è stata di 1,6 gradi sopra la media. Le mappe di Copernicus, l’agenzia spaziale europea, mostrano come la temperatura superficiale del mare in alcune aree come il Tirreno e le Baleari sia arrivata a +5° rispetto alla media stagionale. Nelle acque della baia di Malaga, per esempio, la temperatura media dell’acqua di mare a giugno è solitamente intorno ai 18,5 gradi da quando esistono i dati ufficiali del 1984. Nell’ultima settimana si è arrivati 25,7 gradi.
A un ritmo tale di riscaldamento, entro 25 anni potremmo già varcare la soglia di 2 gradi. Per restare sotto a questa soglia potremmo emettere ancora al massimo 1.150 GtCO2 (gigatonnellate di CO2 ) pari a 28 anni di emissioni al ritmo attuale.
Soluzioni
Come fare? i metodi ci sono, si conoscono, sono attuabili. Consistono nell’uso massiccio delle energie rinnovabili e nell’implementazione delle tecnologie stoccaggio di carbonio. Ma, sebbene questi metodi potrebbero essere validi nel breve termine, è opportuno riconoscere che ogni cosa ha un prezzo e un impatto. Non basta che una tecnologia non produca gas serra o che li riduca per essere sostenibile o etica. Si tratta di mezzi e, come sappiamo, a fare la differenza non sono i mezzi stessi, ma il modo in cui vengono utilizzati.
Lo stoccaggio del carbonio potrebbe diventare addirittura un incentivo all’utilizzo dei combustibili fossili. I quali, ricordiamolo, sono risorse finite e, in quanto tali, sono brutalmente contesi dalle potenze mondiali. Sul lungo termine, anche le rinnovabili potrebbero alimentare le vecchie dinamiche di consumismo, sfruttamento di persone e ambiente, disuguaglianze tra classi sociali. Anzi, il colonialismo verde è già una realtà.
È quindi anche necessario un cambio radicale del nostro modo di vivere e vedere il mondo. Per esempio dovremmo ridurre l’importanza che diamo ai capitali e alla crescita economica, e concentrare i nostri sforzi sul benessere a 360° di tutte le fasce sociali. Bisognerebbe ridurre la produzione su larga scala e a basso prezzo di beni superflui. Bisognerebbe cambiare il sistema alimentare e anche quello del mondo del lavoro. Insomma, per un cambiamento sul lungo periodo serve una rivoluzione culturale e sistemica, che si attua con la scuola, con la comunicazione mediatica, con risoluzioni politiche ed economiche dall’alto e con forti e costanti pressioni dal basso.
Articolo a cura di Iris Andreoni
Immagine di copertina via Unsplash