African Story: Soumaila Diawara, nostalgia per il Mali e attivista per i diritti umani in Italia

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Rifugiato, poeta, mediatore culturale e attivista per i diritti umani: ritratto di Soumaila Diawara, punto di riferimento della multiculturalità capitolina dalla smisurata passione civile e sociale

Soumaila Diawara vive a Torpignattara, quartiere multietnico per eccellenza di Roma, noto per essere teatro di esperienze di cittadinanza attiva e progetti che valorizzano il background migratorio dei suoi abitanti. Giunto in Italia nel 2014, Soumaila non ha mai smesso di sentire nostalgia per il suo Mali. Se potesse, tornerebbe domani. A mancargli di più è la mentalità aperta del suo popolo.

In Mali è quasi scontato avere una stanza in più a casa per ospitare viaggiatori e turisti di passaggio che bussano alle porte di sconosciuti, senza che questo generi paura. Se però dovessi tornare in Mali, mi porterei dietro la cultura italiana, il Belpaese e l’idea che possa essere migliore di com’è.

Un contrasto che racconta bene il divario tra accoglienza tradizionale africana e una società nostrana che, per molti versi, resta ancorata a vecchi schemi culturali.

Il passato politico e la guerra civile

Figlio di un’infermiera e di un avvocato, Soumaila si laurea in Scienze giuridiche e politiche e lavora per sette anni per il SADI, il partito della Solidarietà Africana per la Democrazia e l’Indipendenza, oppositore del regime instauratosi nel 2012. Lo scoppio della guerra civile destabilizza il Paese e la vita di oltre 17 milioni di persone.

Il suo nome compare in una lista di proscrizione, costringendolo alla fuga. Attraversa la Libia, dove viene arrestato senza motivo e rilasciato solo dopo il pagamento di un riscatto. Riesce infine a imbarcarsi per l’Italia, ma lungo il percorso assiste alla tragica morte di molti dei suoi compagni di viaggio.

Giunto in Italia, ottiene la protezione internazionale e lo status di rifugiato politico.

Attivismo sociale e impegno culturale

In questi 10 anni in Italia, Soumaila è diventato un punto di riferimento per i migranti e le comunità locali. Il suo forte attivismo sociale lo ha portato a costruire una presenza riconosciuta sui social, dove migliaia di follower seguono i suoi contenuti dedicati a temi come:

  • Africanità
  • Disuguaglianza sociale
  • Multiculturalità
  • Solitudine e resilienza
  • Narrativa migrante

Tutti argomenti che ricorrono anche nei suoi libri:

  • “Sogni di un uomo” (2018)
  • “La nostra civiltà” (2019)
  • “Le cicatrici del porto sicuro” (2021), che racconta le cause e i drammi delle migrazioni
  • “L’Africa martoriata” (2025), un’analisi dei danni del colonialismo e delle potenzialità di un continente che vuole scrivere il proprio futuro

La sua ultima opera sarà presentata il 13 luglio a Padova, e il 15 e 16 luglio in Sardegna.

Il ruolo di mediatore culturale

Soumaila oggi lavora anche come mediatore culturale. “Il più grande ostacolo non è stato il razzismo, ma l’indifferenza”, racconta. Per fortuna, ha incontrato associazioni e realtà del terzo settore che lo hanno sostenuto. Secondo lui, a 11 anni dal suo arrivo in Italia, la situazione è peggiorata:

“Eppure, non mi sembra siano stati gli stranieri ad abbassare gli stipendi. Va detto inoltre che gli immigrati contribuiscono in modo significativo al PIL nazionale, con una stima dell’8,8% nel 2024 (dati Fondazione Leone Moressa), pari a circa 164 miliardi di euro”.

Una migrazione che arricchisce i territori

Soumaila Diawara crede che solo attraverso il racconto diretto delle storie reali si possa costruire una società più inclusiva e consapevole:

“Siamo più di un’etichetta o di una cronaca di emergenza”.

Attraverso eventi pubblici, incontri nelle scuole, documentari e articoli, Soumaila si impegna a scardinare stereotipi e pregiudizi, dimostrando come la migrazione possa essere non solo una fuga, ma una risorsa per i territori che sanno accogliere e valorizzare.

La storia di Soumaila Diawara è il ritratto di una resilienza attiva che trasforma il dolore dell’esilio in impegno sociale e culturale. Un esempio concreto di come l’esperienza migratoria possa contribuire alla crescita civile di un Paese, se solo si è disposti ad ascoltarla.

Articolo a cura di Veronica Otranto Godano (Associazione Connect)

 

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