La mostra su Edvard Munch è la più visitata dell’anno
Il percorso immersivo nell’universo emotivo di Edvard Munch è stata la mostra più potente e partecipata dell’anno con 536.281 visitatori tra Roma e Milano.
C’è un grido che attraversa il tempo e riecheggia fino ai nostri giorni. È il grido interiore di Edvard Munch, protagonista assoluto della straordinaria mostra ospitata a Palazzo Bonaparte a Roma, che ci ha permesso di entrare nella mente e nel cuore di uno degli artisti più visionari del Novecento.
Nato nel 1863 e scomparso nel 1944, Munch non è solo l’autore de L’Urlo, l’iconica tela che ha rivoluzionato la storia dell’arte. È stato un instancabile artista, capace di realizzare migliaia di opere, ma anche di riversare il suo mondo interiore su centinaia di fogli: lettere, annotazioni, poesie e persino sceneggiature teatrali. Per lui, arte e vita coincidono in un flusso continuo di percezioni, emozioni e ricordi.
Il grande successo della mostra
La mostra MUNCH. Il grido interiore, ospitata a Palazzo Bonaparte fino al 2 giugno 2025, si è imposta come un autentico fenomeno culturale, conquistando il primato di esposizione più visitata dell’anno.
Con 259.476 ingressi registrati solo nella sede romana, parte di un totale di oltre 536.000 visitatori considerando anche la precedente tappa a Palazzo Reale di Milano. Il progetto ha raccolto un entusiasmo travolgente.
Un successo trasversale che ha coinvolto pubblico italiano e internazionale. Anche 210.000 turisti stranieri infatti hanno varcato le soglie delle sale attratti dalla rara possibilità di ammirare da vicino 100 capolavori iconici, concessi in prestito eccezionale dal Museo MUNCH di Oslo. Una risonanza straordinaria per una mostra che ha saputo trasformarsi in esperienza collettiva e profondamente personale, capace di generare emozione, riflessione e memoria.
La mostra romana, a cura di Patricia G. Berman e prodotta da Arthemisia in collaborazione con il Munchmuseet di Oslo, è stata costruita con maestria attorno a questo incessante tentativo di rendere visibile l’invisibile.
Con oltre 100 opere, tra dipinti, incisioni e materiali d’archivio, esposte nelle sale del palazzo settecentesco che ci hanno raccontato un artista complesso e appassionato, diviso tra gli impulsi di solitudine e gli slanci visionari.
L’allestimento sobrio e denso ha permesso al visitatore di entrare in relazione diretta con la pittura di Munch. Un’impresa artistica e spirituale che ha attraversato i grandi temi della condizione umana: la nascita, la morte, l’amore, la malattia, il tempo che passa.
Munch è stato ed è l’artista dell’instabilità, della fragilità psichica, della forza misteriosa e caotica che muove l’universo. E proprio per questo parla ancora a noi, uomini e donne di un’epoca disorientata, inquieta, alla costante ricerca di senso.
Disperazione: il quadro simbolo della mostra romana
Al primo piano della mostra di Palazzo Bonaparte a Roma, il visitatore ha potuto contemplare l’opera munchiana Disperazione (1894), scelta proprio come immagine simbolica della mostra e riprodotta sulla copertina del catalogo.
La scena è sempre quella iconica, del ponte e del cielo infuocato che ritroviamo ne L’Urlo, ma qui il grido è silenzioso, trattenuto. La figura maschile è immobile, il capo chino, immersa in un dolore che non esplode ma pesa. È una disperazione senza voce, che si fa paesaggio interiore. Il quadro, collocato in una posizione centrale e fortemente evocativa.
I fantasmi della malattia e della morte
La malattia e la morte sono presenze costanti nell’opera di Munch e anche nella mostra. L’artista visse fin da piccolo la perdita della madre, della sorella Sophie e successivamente del padre e del fratello Andreas.
Queste esperienze diventano materia pittorica, nella forma di una caccia consapevole ai fantasmi. In La bambina malata, la sofferenza si fa respiro: l’arancione e il verde vibrano come pulsazioni di una vita al limite.
Il tema ritorna in La morte nella stanza malata, dove il trauma della perdita si ricompone in una scena teatrale: ogni personaggio è isolato nel proprio dolore. Anche in queste sale della mostra, lo spettatore è invitato a rallentare, a percepire l’atmosfera pesante ma umanissima di un dolore che si fa pittura.
A Palazzo Bonaparte e a Palazzo Reale a Milano, i visitatori non hanno trovato solo un artista, ma un uomo che ha avuto il coraggio di spalancare la propria anima. Un pittore che non ha mai smesso di cercare una forma per ciò che non ha forma: il dolore, l’estasi, l’assenza. In un’epoca in cui la velocità anestetizza le emozioni, Munch ci invita a fermarci, a sentire, a guardare davvero.
E forse, in quel silenzio carico di colore e tensione, sentiremo anche noi il nostro personale urlo interiore. E non ne avremo paura.
È stata un’occasione unica per vedere da vicino opere iconiche provenienti dal Museo Munchmuseet di Oslo e da altre collezioni internazionali. Ma è stata anche un motivo per guardarsi dentro, per riconoscere la bellezza fragile che si cela nella sofferenza, nella malinconia, nella solitudine.
A Milano e a Roma, Munch ci ha accompagnati in un viaggio nell’anima. E chiunque abbia amato, sofferto, cercato un senso, ha trovato in lui uno specchio.
Articolo a cura di Elena Murgia
Immagine di copertina su gentile concessione dell’ufficio stampa Arthemisia