“Ogni cosa ha il suo tempo” di Petra Soukupová: quand’è l’ultima volta che siamo stati felici?

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Una domanda che risuona nella testa dopo la lettura di un romanzo che penetra, come una sonda, lo spazio e il tempo di una famiglia come altre. Ogni cosa ha il suo tempo, di Petra Soukupová.

La prima cosa che salta all’occhio tenendo fra le mani questo libro è il titolo in lingua originale che emerge da quello in italiano e il nome della traduttrice, Letizia Kostner, in copertina. È un segno di riconoscimento della casa editrice Miraggi in generale e in particolare della collana NováVlna, dedicata alla letteratura ceca.

In quarta di copertina appare un intero brano scritto in entrambe le lingue, riga per riga a ricordarci che l’autore di un libro tradotto non è mai uno solo. Ma forse ogni libro non ha mai solamente un autore.

Ogni cosa ha il suo tempo di Petra Soukupová ci porta dentro le vicende di una famiglia ordinaria, di una famiglia mediamente infelice, di una famiglia che vive al ritmo dell’abitudine, delle incomprensioni, del desiderio di fuga e della paura di fuggire.

Ma io non voglio starmene spalmata sul divano. Io voglio comprare i lampadari” (p. 25), dice Alice, la moglie/madre. A partire dal secondo capitolo, la quotidianità di un matrimonio stabile è riportata fedelmente, impietosamente, sulla pagina. La coppia di coniugi che si muove sotto ai nostri occhi dimentica pian piano cosa significa essere amanti e oscilla fra attrazione e repulsione. Sensazioni a pelle inspiegabili razionalmente, ma presenti e decisive. Gesti di una sensualità stanca mista a vergogna, che porta con sé la memoria di un fuoco. Che resta però un ricordo.

Poi ci sono i figli e il misto di gioia e pena che urta gli equilibri – già precari – della coppia e contribuisce a erodere le fondamenta di una relazione.
Lo schema padre assente-marito che non ascolta-madre iper presente si insedia in questo ménage come in innumerevoli altri. Un uomo che da solo non sa gestire i figli perché non è necessario che lo faccia, perché è sottinteso che si tratti di (pre)occupazioni femminili, perché la donna sa gestire così bene tutto che l’uomo non si pone neanche la questione. E quindi a un certo punto Alice entra in acqua per fare il bagno e deliberatamente ignora il pianto del figlio Kája: “vuole allontanarsi il più possibile da loro” (p. 62).

Richard, il marito/padre, dà per scontate tutta una serie di cose che Alice madre/moglie fa e non ha interesse per quello che dicono o fanno gli altri membri della famiglia. Comprende poco, anzi non comprende affatto, l’insoddisfazione di Alice per un lavoro poco amato, il desiderio di cambiare, di seguire la passione. Il disinteresse è uno degli atteggiamenti che i familiari stigmatizzano: non ti importa di me, non ti importa di quello che dico sono accuse ricorrenti tra moglie e marito, tra figlio e genitore. Il lavoro ruba la mente, i doveri, domestici e non, annacquano i sentimenti e le passioni e il fuoco quasi sempre si riaccende fuori dal ménage. In famiglia quasi mai ci si ascolta. Nella famiglia “tradizionale”, presa nei ritmi veloci del mondo, in cui le relazioni umane si piegano alle esigenze di un tempo – personale e collettivo – mutilato.

Il lettore annega insieme ai personaggi in questo mare di abitudine e incomprensione, di quiete forzata e finzione. Anche la figlia, Lola, nota il “far finta di niente” (p. 177) che conclude ogni battibecco in famiglia.
Conta di più stare insieme o non stare soli?

Difficilmente in famiglia si parla con chiarezza e sincerità. C’è una dinamica di aspettative e di sottintesi che spesso corre più veloce di noi. Ma a volte può capitare di essere ascoltati: “Tutto qui?” (p. 198) esclama Kája sorpreso di non ricevere punizioni dai genitori dopo aver detto loro che non vuole più nuotare. Mettersi nei panni dell’altro è un esercizio poco praticato, è un esercizio difficile. Più leggiamo e più ce ne accorgiamo. Passando da un punto di vista all’altro, entriamo nella mente dei personaggi e capiamo che non esiste un “cattivo” e “un buono”.

Esistono relazioni e cambiamenti. Esistono egoismi, sussulti di un’io che si scontra col noi. Non è facile costruire una comunità, grande o piccola che sia. È facile che una comunità si disgreghi per far posto ad altre forme di esistenza. Richard pensa alla sua famiglia che “si regge solo per inerzia”, e si chiede: “se invece avessero ancora tutti la possibilità di avere qualcosa di meglio?” (p. 252). “Ormai è tutto una noia”, gli fa eco Alice, “non chiacchierano più di nulla, solo di questioni organizzative” (p. 272). Ma la rottura spaventa, la perdita dell’abitudine, la paura del nuovo. Alice è tormentata tra la noia e la rabbia, fra l’abitudine e il desiderio di vita. “Quasi tutta la giornata trascorre così, rabbia, tristezza, determinazione, rabbia, tristezza, lavoro, pranzo, nel pomeriggio porta di nuovo il cane a fare una passeggiata, senza nemmeno fingere di voler fare giusto due passi. Niente” (p. 275).

Nel susseguirsi dei capitoli, che aprono ogni volta il punto di vista di un personaggio diverso, entriamo nella quotidianità asfittica di una famiglia tradizionale, madre, padre, figlio e figlia, con cui intraprendiamo un viaggio lungo più di trecento pagine, percorriamo un pezzo della loro storia, una storia ordinaria, sviscerata nei minimi dettagli. È come una vivisezione, la dissezione di un corpo vivente per guardarne i meccanismi il più vicino possibile, accorgendoci che la chiave di tutto è sempre il mutamento, l’instabilità (necessaria) che comporta scomposizioni e ricomposizioni, respiri lunghi o tagli netti che permettono a un organismo di rigenerarsi.

In men che non si dica prende il ritmo che le è più congeniale” (p. 141). Fra scegliere un compromesso e seguire il proprio tempo ci si smarrisce spesso, e si resta in uno spazio indefinito in cui la coppia mal assorbe l’individuo, ne digerisce un po’ e un po’ lo perde. La tenerezza spontanea svanisce e un gesto o uno sguardo insolito provocano ansia, sospetto, perfino fastidio, più che piacere. L’abitudine viene a coronare il malassorbimento, ma le parti indigerite prima o poi tornano a galla. Conosciamo mai veramente chi abbiamo accanto?
Quand’è l’ultima volta che siamo stati felici?

Recensione a cura di Sara Concato

Ogni cosa ha il suo tempo
di Petra Soukupová
Miraggi Edizioni
Traduzione di Letizia Kostner
368 pagine
13,49€ – 25,00€

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