Elezioni in Romania: sembrava una storia chiusa, invece non lo è

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Le elezioni presidenziali in Romania si sono concluse con un vincitore, Nicușor Dan, ma gettano sull’UE l’ombra delle interferenze estere.

Domenica 18 maggio si è svolto il secondo turno delle elezioni presidenziali in Romania. Questa tornata ha visto vincitore il candidato moderato ed europeista Nicușor Dan, che ha superato al ballottaggio George Simion – leader del partito sovranista romeno Aur – ribaltando tutti i pronostici della vigilia. Doveva essere l’ultimo atto di una vicenda, quella successiva allo storico annullamento della prima tornata da parte della Corte costituzionale rumena per ingerenze estere sul voto attraverso le piattaforme digitali, su cui ancora si deve fare piena chiarezza. Ed ecco che nuove ombre minacciano il risultato delle elezione, con nuovi sospetti e nuovi personaggi.

Nella storia di queste elezioni in Romania ci sono tutti gli ingredienti per una spy story o per un film. I protagonisti, questa volta, non sono i candidati o le loro posizioni ma il potere, inteso specificamente come “potere di influenzare”, e il suo rapporto con i nuovi mezzi digitali – soprattutto i social, che mai come in questo tornata elettorale hanno avuto un ruolo così centrale. Sullo sfondo un Paese, membro UE e Nato, nel caos politico.

Il quadro politico, da disordine a caos

Che le elezioni in Romania del 2024 non dovessero svolgersi in buon ordine lo si intuiva già dalle premesse. Secondo il programma, i rumeni sarebbero stati chiamati alle urne per due elezioni cruciali praticamente nello stesso momento. A fine novembre le elezioni presidenziali, con possibile ballottaggio annunciato per l’8 dicembre. Nel frattempo, il 1° dicembre, si sarebbe votato per eleggere i rappresentanti di Camera e Senato e, quindi, il Governo, prevedendo un eventuale ballottaggio una volta archiviate le elezioni presidenziali. La stretta concomitanza di due votazioni così importanti per il futuro della Romania ha influito non poco nell’acuirsi del focolaio politico poi sfociato nel caos che si è verificato a seguito delle elezioni presidenziali.

Apparentemente queste ultime si sono svolte regolarmente il 24 novembre, decretando un vincitore a sorpresa nel primo turno: Calin Georgescu. Candidato indipendente di destra, nazionalista, antieuropeista e apertamente filorusso, Georgescu era considerato ininfluente dai sondaggi alla vigilia del voto. Tuttavia, con il 22,95% –  un’enormità per un esordiente indipendente – riesce a scavalcare non solo il favorito Primo ministro uscente, Marcel Ciolacu – candidatosi alle presidenziali per il centro-sinistra europeista e finito al terzo posto con il 19,15% – ma anche tutti i partiti della destra tradizionale, alcuni dei quali finiti allo 0,15%.

L’annullamento, una decisione inedita

Proprio questa piccola parte della compagine di destra è la prima a non credere al “miracolo elettorale” e fa ricorso alla Corte costituzionale perché si ricontino i voti. La magistratura, sorprendentemente, accetta il ricorso, alimentata da una piazza che già all’indomani del voto si infiamma e scende a protestare. Ma questa è solo la prima bomba delle tre che esplodono a breve distanza l’una dall’altra. La seconda la sgancia il Consiglio Supremo della Difesa nazionale rumeno, che annuncia di aver rilevato cyber-attacchi di matrice estera durante il voto. Inoltre dichiara, pur senza fare nomi, che durante la campagna elettorale un candidato in particolare ha beneficiato in maniera massiccia di un trattamento preferenziale da parte di TikTok.

I riferimenti dell’organo di Difesa, mai menzionati direttamente, sono tuttavia chiari. Georgescu, che per sua stessa ammissione ha costruito un’intera campagna elettorale nell’ultimo mese, avrebbe goduto di una crescente popolarità – agevolata dalla piattaforma social – mediante una campagna mediatica finanziata dalla Russia. Quest’ultima, ovviamente, si dichiara estranea alle accuse. TikTok nega ogni coinvolgimento ma, dopo la richiesta UE di controlli più scrupolosi, ammette di aver rimosso in quel periodo in Romania 66mila account falsi, 7 milioni di like e 10 milioni di finti follower. La Corte costituzionale,  il giorno prima dello svolgimento del secondo turno, apre un’inchiesta, dichiara nullo il voto di novembre 2024 ed esclude Georgescu dalla corsa presidenziale.

Le elezioni del 2025: nuove ombre o nuove luci?

L’inchiesta sulle interferenze estere nelle elezioni, tuttavia, ha gettato la Romania nello scompiglio politico all’interno dei partiti e nelle piazze. Estromesso Georgescu, che non si arrende ma resta ancora sotto inchiesta, la destra prova a ricompattarsi attorno a George Simion, leader del partito conservatore Alleanza per L’Unione dei Rumeni (AUR). Il centro-sinistra, una volta perduto il suo candidato di punta Marcel Ciolacu – che nel frattempo si è anche dimesso dal ruolo di Primo ministro – sceglie come guida Nicușor Dan, sindaco di Bucarest con un passato da attivista nella lotta alla corruzione – problema che affligge ogni strato del Paese.

Il primo turno delle nuove elezioni viene programmato per il 4 maggio 2025. Va anche questa volta in vantaggio la destra di George Simion, che va al ballottaggio con il 41% dei consensi. Con un colpo di scena al secondo turno, lo scorso 18 maggio il candidato moderato ed europeista Nicușor Dan viene eletto Presidente della Romania con il 53% dei voti. La vicenda delle elezioni in Romania sembrava finalmente chiusa, ma a distanza di pochi giorni nuove ombre minacciano il risultato elettorale. O sarebbe il caso di dire nuove luci, se non altro quelle della ribalta. Dopo la sconfitta, Simion decide di impugnare nuovamente l’esito del voto, ricevendo il supporto di un personaggio inaspettato.

La Francia e Pavel Durov: ancora sospetti di influenze estere

Con un messaggio sulla piattaforma “X” George Simion annuncia di voler ricorrere a sua volta alla Corte Costituzionale per annullare anche queste elezioni.

Elezioni Romania, la risposta di Durov a Simion.

Pavel Durov è il fondatore di Telegram, una delle app di messaggistica più usate ma anche, con i suoi canali, uno dei veicoli di informazione e di flusso di dati più importanti al mondo. Il presunto appoggio a Georgescu segue una dichiarazione sul social “X” dello stesso Durov, secondo cui il capo dell’intelligence francese Nicolas Lerner lo avrebbe contattato per convincerlo a usare il potere della sua piattaforma per influenzare le nuove elezioni in Romania ostacolando le voci conservatrici. “Non lo abbiamo fatto in Russia, in Bielorussia e in Iran. Non cominceremo a farlo in Europa” è la risposta di Durov affidata ai social. La Francia si affretta a dichiarare la propria estraneità ai fatti. La Corte costituzionale rumena, questa volta, archivia il tutto come frutto della propaganda russa e il 22 maggio respinge il ricorso di Simion.

Ora, i dettagli di questa storia sono ancora tutti da chiarire. Dal presunto abboccamento tra il capo dell’intelligence francese e Durov alle modalità con cui Telegram avrebbe potuto interferire. Ma forse è proprio questo il nodo principale che l’Unione europea, e con essa tutto il mondo che si professa democratico, deve risolvere il prima possibile. Quanto le leggi attualmente in vigore, come il Digital Service Act, entrato in vigore appena due anni fa, sono realmente efficaci contro il crescente potere della propaganda e delle fake news che corrono attraverso i nuovi mezzi digitali? Il caso delle elezioni in Romania è un precedente pericoloso, che mina la democrazia nelle sue fondamenta, cioè nel voto. Quali sono le nostre difese?

Articolo a cura di Andrea Pezzullo

Immagine di copertina via Instagram / @nicusordanro

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