Sport o amore? “Challengers” di Luca Guadagnino
Autore di un cinema in continua evoluzione, Luca Guadagnino torna in sala con “After the Hunt”, presentato fuori concorso al Festival di Venezia. Il momento giusto per riprendere in mano “Challengers” e vedere dove il regista è arrivato finora.
Art Donaldson e Patrick Zweig sono migliori amici e promesse del tennis. Un bel giorno conoscono Tashi Duncan, anche lei tennista talentuosa, di cui entrambi si invaghiscono. Da lì i rapporti si complicano, le relazioni finiscono, gli anni inesorabili passano, fino a quando Patrick e Art incrociano di nuovo le racchette a New Rochelle, nel challenger da cui il film prende nome.
Il tennis è una relazione
Ed è proprio durante questo challenger che il film si apre. In piena partita, Art sudato, Patrick sudato, Tashi seduta in mezzo a loro, sugli spalti. Dopo questo primo scambio, la storia dei tre viene percorsa retrospettivamente attraverso una serie di eventi chiave, che coprono l’arco dei tredici anni che va dalla vittoria del titolo doppio juniores di Patrick e Art agli US Open, dal loro primo incontro con Tashi alla finale del torneo di New Rochelle con cui si apre il film. In questi tredici anni, le carriere dei tre ragazzi prenderanno strade diverse, così come le loro vite personali. Tradimenti, infortuni, parole non dette, mentre le loro carriere da tennisti vanno avanti.
Il centro del film, la forza dinamica che lo muove, è sicuramente il triangolo relazionale che si instaura tra i protagonisti, portato avanti e vissuto attraverso il tennis. Ognuno infatti gioca in base a quello che è, e quello che i personaggi sono si rispecchia nel loro modo di giocare. E anche quando devono confessarsi qualcosa, lo fanno con pallina e racchetta. Se Art vuole ritirarsi dal tennis giocato, prima che a parole lo comunica a Tashi con la qualità del suo gioco, in caduta libera prima del challenger di New Rochelle. E quando Patrick deve dire all’amico che è finalmente riuscito ad andare a letto con la ragazza, glielo fa capire servendo la palla in un modo particolare.
Pura intensità
La colonna sonora si compone principalmente di tracce EDM (electronic dance music), vicine alla techno degli anni ‘90. Si tratta di uno stile caratterizzato da ritmi costanti e ripetitivi, assenza di brano cantato e un’aggiunta progressiva di elementi sonori (detta layering) che, da un beat minimale, conduce a un suono stratificato teso e intenso. Raro l’inserimento di brani folk o di musica classica.
La musica techno come elemento dominante della colonna sonora è uno dei punti di forza del film. In mancanza di parole e di altri generi musicali, le tracce EDM si accumulano senza un vero e proprio senso narrativo: che i personaggi siano pensierosi, arrabbiati, motivati, le immagini sono accompagnate dagli incessanti beat che costruiscono l’atmosfera del film. Ritmi che impediscono un’interpretazione cerebrale e mettono in primo piano la componente emotiva e fisica della vita dei protagonisti, e la carica vitale che il tennis permette loro di incanalare e di esprimere.
E così, durante l’ultimo scambio del film e dopo 13 anni passati a cercare una motivazione per continuare a giocare, Art sorride perché si rende finalmente conto che non ha bisogno di altro. E lo stesso facciamo noi.
Articolo a cura di Davide Paolacci
