I “Giorni del buio” – La vita senza luce dei reietti della Capitale

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Il Teatro Argentina di Roma ha ospitato dal 19 al 23 giugno “I giorni del buio”, Saggio di Diploma degli allievi dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico: in scena la vita degli underclassers, per la regia di Gabriele Lavia

di Isadora Casadonte

fonte immagine: agenziaradicale.it

fonte immagine: agenziaradicale.com

Spingono il loro carrello come gli avari rotolano i loro massi nel quarto cerchio dell’Inferno dantesco. Eppure a gravare sulle loro spalle non è il peso del peccato, quanto quello della condanna all’invisibilità.

Sono uomini e donne, nudi nella loro fragilità e miseria, le cui storie splendono nei corpi degli attori impegnati a dargli voce, emergendo impetuose e taglienti per pochi minuti, prima di tornare a confondersi nel tessuto informe dei destini emarginati.

Sono 19 i giovani attori sulla scena e 19 sono le testimonianze di cui si fanno interpreti: 19 vitedi senzatetto a cui regalare “respiro poetico” rappresentandone il frammento più significativo, il più personale, a volte il più sconvolgente.

Ad accumunare le “confessioni” dei barboni raccolte in prima persona da ogni allievo è la condanna ad un’esistenza vissuta nel buio della strada, una vita senza luce.

fonte immagine: comune.roma.it

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La scenografia è spoglia, riempita dai corpi e dalla presenza imperante dei carrelli, simbolo ambivalente di consumo e miseria, ammasso metallico su cui trascinare la propria esistenza o bagaglio in cui raccogliere i pochi oggetti che si possiedono, in cui raccogliere se stessi.

I rumori, le luci, le espressioni dei volti si uniscono in una sinestesia di parole e movimenti. Le coreografie (di Enzo Cosimi) disegnano linee essenziali di profonda valenza evocativa, creando insieme alla drammaturgia un quadro di enorme impatto emotivo.

Si mischiano le età, i sessi, le lingue: i reietti della società sembrano costituire una massa indistinta, un Quarto Stato che avanza non guardatocon un passato da riscattare e un futuro da immaginare”. Eppure sulla scena i barboni gridano il loro nome, svelano segreti e paure, ricostruiscono la propria identità, prima di tornare alla taranta infernale della loro vita di fantasmi.

©Isadora Casadonte

©Isadora Casadonte

L’appello alla Fratellanza viene urlato a pieni polmoni dalla scena e in chiusura di spettacolo lunghi rami d’albero diventano compagni di una danza di riscatto, innalzati a sostenere la torre imperante di metallo che quasi smette di fare paura.

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