Democrazia: salute indebolita

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Uno studio dell’Economist Intelligence Unit mostra un calo delle caratteristiche democratiche a livello mondiale. E le elezioni in tanti Paesi sembrano confermare questa tendenza
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In Italia gli echi delle recenti elezioni non si sono ancora sopiti, e cittadini assistono all’ascesa dei partiti estremisti, che riportano alla memoria ricordi antichi (e non benvenuti). Come abbiamo già visto, una cosa analoga è avvenuta negli Stati Uniti e in molti altri Paesi considerati “democratici”, come Francia, Venezuela e Brasile – anch’esso alle porte di nuove elezioni in uno scenario di tensione politica. Si tratta di casi isolati di una tendenza più ampia?

Secondo lo studio Democracy Index, pubblicato a fine gennaio dalla rivista The Economist, la seconda alternativa è quella vera. Realizzato da 12 anni dall’Economist Intelligence Unit, il rapporto ha valutato 165 Paesi e due territori in base a 60 indicatori, raggruppati in cinque categorie: processo elettorale e pluralismo; libertà civili; funzionamento del governo; partecipazione politica e cultura politica. L’insieme dei Paesi esaminati ha mostrato un calo delle caratteristiche democratiche mondiali da 5,52 nel 2016 a 5,48 nell’ultimo anno (il livello più basso, di 5,46, è stato registrato nel 2010). Il rapporto sottolinea, inoltre, che il calo di questi indici è stato continuo sin dal primo anno di pubblicazione dello studio, nel 2006.

Tra i “sintomi” considerati segni di declino degli stati dove c’è democrazia, la diminuzione della partecipazione popolare alle elezioni; il funzionamento precario dei governi; l’indebolimento della fiducia nelle istituzioni tradizionali e nei partiti politici; la crescente influenza di istituzioni ed esperti non eletti; l’aumento della distanza ideologica ed economica tra le élite politiche e l’elettorato; il declino della libertà di espressione; e l’erosione delle libertà civili. Tra le voci più colpite nell’insieme dei paesi (e che ha persino meritato una citazione nello stesso titolo dello studio) c’è la libertà di stampa, che ha raggiunto il livello peggiore dal 2006, subendo restrizioni anche nelle democrazie consolidate. Secondo il rapporto, solo 30 Paesi – ovvero solo l’11% della popolazione globale – sono stati classificati come “totalmente liberi” per quanto riguarda l’attività giornalistica.

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Donald Trump

Nell’Europa occidentale, Paesi come Francia, Germania e Spagna hanno avuto una decrescita tanto significativa quanto l’Europa orientale. La più grande regressione è avvenuta in Asia, influenzata da Paesi come l’India, l’Indonesia e la Corea del Nord. Il punteggio degli Stati Uniti, nel frattempo, è rimasto invariato, perché già sceso nel 2016 – quando l’indebolimento della fiducia popolare nelle istituzioni pubbliche ha contribuito all’elezione di Donald Trump. Sebbene gli Stati Uniti e il Canada non abbiano mostrato alcun peggioramento nel 2017, nessun paese analizzato ha registrato miglioramenti.

Lo studio dell’Economist non è stato l’unico a evidenziare queste tendenze: all’inizio di quest’anno, anche il rapporto Freedom in the World 2018, lanciato dall’organizzazione indipendente Freedom House, ha concluso che il 2017 è stato il dodicesimo anno consecutivo di peggioramento della libertà nel mondo. Secondo il rapporto, dal 2006, 113 paesi sono peggiorati e solo 62 hanno registrato miglioramenti. Il documento spiega che Cina e Russia “hanno approfittato del declino delle principali democrazie per mantenere il loro potere, perseguitare dissidenti e danneggiare le istituzioni legali”.

Resta da sapere quali altri fenomeni alimenteranno questa tendenza mondiale, o saranno alimentati da essa. Le organizzazioni per i diritti civili, ad esempio, si sono recentemente pronunciate sulla decisione di Apple di ospitare i dati dagli utenti cinesi dell’iCloud sui server cinesi, piuttosto che negli Stati Uniti, come avviene tradizionalmente. Analisti vedono la situazione come una “carta bianca” attraverso la quale il governo cinese possa accedere a quantità di dati inimmaginabili sui propri cittadini – oltre a una dimostrazione che, per il settore tecnologico, è preferibile avere accesso ai mercati che salvaguardare i diritti civili dei propri utenti. Questo scenario fa parte di un insieme di possibilità che i più attenti vedranno avvicinarsi all’orizzonte con molta preoccupazione.

Juliana Santos

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