Sacchetti biodegradabili: qual è la verità?
Dallo scorso 1° gennaio con un emendamento inserito nel decreto “Mezzogiorno” i sacchetti biodegradabili per frutta e verdura sono a pagamento. In rivolta i consumatori e si urla persino al complotto
Ormai da giorni impazzano le polemiche sul web: consumatori in rivolta per l’obbligo di pagamento dei sacchetti biodegradabili utilizzati per frutta e verdura. Il provvedimento incriminato riguarda l’emendamento presente nel decreto Mezzogiorno che accoglie una direttiva dell’Unione europea del 2015 (2015/720) nella quale si sollecitavano i Paesi membri ad abbandonare i sacchetti di plastica a favore di quelli biodegradabili.
Ebbene dallo scorso 1° gennaio la legge 123/17 impone il pagamento dei sacchetti biodegradabili (con uno spessore sotto i 15 micron) per un ammontare che varia da 1 a 3 centesimi di euro. L’aumento, dunque, oscillerà tra i 4,17 e i 12,51 euro annui per famiglia. Si tratta di una decisione resa necessaria per dissuadere i consumatori dall’uso indiscriminato della plastica e per evitare l’inquinamento ambientale.
L’associazione italiana Assobioplastiche ricorda che il consumo di buste si aggira tra i 9 e i 10 miliardi di unità, per un consumo medio per ogni cittadino di 150 sacchi all’anno.
I nuovi sacchetti ultraleggeri devono essere biodegradabili e compostabili al 100% e devono essere composti di materie prime rinnovabili (vegetali) al 40%, mentre rimarrà il 60% di componente petrolchimica. Nel 2020 si dovrà arrivare al 50% di materie prime rinnovabili e nel 2021 il 60%.
Nonostante, dunque, si tratti di un nobile obiettivo, volto alla tutela dell’ambiente a favore dell’economia circolare, il mondo del web insorge, urla allo scandalo e c’è persino chi parla di complotto politico.
Sull’argomento è intervenuto il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti che ha precisato: “L’entrata in vigore della normativa ambientale sugli shopper ultraleggeri è un atto di civiltà ecologica che pone l’Italia all’avanguardia nel mondo nella protezione del territorio e del mare dall’inquinamento da plastiche e microplastiche. Le polemiche sul pagamento di uno o due centesimi a busta sono solo un’occasione di strumentalizzazione elettorale“.
Ebbene c’è chi nella “guerra del sacchetto” ha insinuato che la normativa sia stata creata ad hoc per favorire l’imprenditrice Catia Bastioli, amministratrice delegata della Novomont a detta di alcuni “vicina” a Matteo Renzi.
A smontare la fake news basta ricordare che l’azienda di sacchetti di plastica biodegradabile Novomont non è in regime di monopolio ma che bensì sul mercato operano oltre 150 aziende per un totale di 4 mila dipendenti e 350 milioni di fatturato.
Secondo il Wwf Italia: “La polemica sui sacchetti ultraleggeri per gli alimenti a pagamento ha spostato il dibattito sulla questione economica piuttosto su quella che ambientale. Ricordare quanto il tema dell’invasione di plastiche sia centrale sia a livello mondiale, che su scale regionali più limitate è fondamentale almeno quanto chiarire il malinteso che ha generato il dibattito stesso. Il fatto che i sacchetti di plastica per l’ortofrutta fossero gratuiti non significa che questi non fossero pagati dal consumatore attraverso la definizione del prezzo del prodotto che i sacchetti devono contenere. Si tratta dunque di un costo già comunque a carico del consumatore, inserito in maniera occulta nel totale del prodotto. L’obiettivo è quello della responsabilizzazione del consumatore dal momento che, a differenza del precedente, il nuovo bioshopper è riutilizzabile come sacchetto per la raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti domestici“.
La presidente del Wwf, Donatella Bianchi, aggiunge: “Il tema delle plastiche ha un impatto enorme sugli ecosistemi. La plastica è uno dei materiali che impiega più tempo a degradarsi: un sacchetto di plastica, secondo l’Agenzia europea per l’ambiente, resta nell’ambiente da un minimo di 15 anni a un massimo di 1.000 anni. Gli impatti più negativi di un uso e uno smaltimento sconsiderati della plastica si ripercuotono sull’ambiente terrestre e marino: nei mari del Pianeta navigano 150 milioni di tonnellate di materie plastiche, ogni anno se ne aggiungono 8 milioni cosicché la plastica arriva a rappresentare il 95% dei rifiuti marini. Il Mar Mediterraneo non fa eccezione: sono 1,25 milioni di frammenti di plastica per chilometro quadrato contro i 335 mila del Pacifico“.
Per Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente, “Le polemiche di questi giorni sono davvero incomprensibili: non è corretto parlare di caro spesa né di tassa occulta o di qualche forma di monopolio aziendale. Sarebbe utile che ci si preoccupasse dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento causato dalle plastiche non gestite correttamente, e che si accettassero soluzioni tecnologiche e produttive che contribuiscono a risolvere questi problemi. È ora di sostenere e promuovere l’innovazione che fa bene all’ambiente, senza dimenticare di contrastare il problema dei sacchetti di plastica illegali“.
Voci illustri si contrappongono, dunque, alle polemiche che circolano sul web. Unanime dovrebbe essere la volontà di tutti i consumatori di essere più consapevoli nelle scelte e maggiormente attenti al benessere nostro e dell’ambiente.