Che mondo sarebbe senza le api?
Tra le molte sfide ambientali di questo secolo ce n’è una che sembra guadagnare sempre più attenzione: la scomparsa delle api e degli altri insetti impollinatori, responsabili del 75% del cibo che consumiamo. Rimane da capire, però, se le contromisure arriveranno in tempo.

Fonte: vocealta.it
Cosa farebbero le principali economie globali per preservare una risorsa responsabile del 75% delle colture alimentari e che ogni anno genera un valore stimato fino a 577 miliardi di dollari? Non abbastanza, sembra, come mostrano recenti ricerche e gli sforzi da parte degli Organismi Internazionali per proteggere gli animali impollinatori.
Lo scorso 20 maggio, l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura delle Nazioni Unite (FAO), ha celebrato per la prima volta la Giornata Mondiale delle Api. A monito globale del loro declino – rilevato in Europa sin dalla fine degli anni ’60 e oggi osservato praticamente in tutti i continenti. Di fondamentale importanza per la nostra sicurezza alimentare, le api condividono la funzione di impollinatrici con una varietà di insetti (ad esempio formiche, farfalle e scarafaggi, oltre ad altri animali come uccelli, pipistrelli e scoiattoli).
Le monoculture, i cambiamenti climatici, l’uso intensivo di pesticidi e gli incendi sono alcune delle cause probabili di questo accelerato declino. Negli Stati Uniti, nel 2017 erano presenti il 52% di colonie di api in meno rispetto al 1957. In Europa, la percentuale di api a rischio di estinzione è del 10%; tra i bombi, del 25,8%.

Fonte: lifegate.it
Ciò ha aumentato la pressione dell’opinione pubblica per il divieto di prodotti chimici agricoli come i neonicoticoidi. Dopo diversi anni di campagne civili, il Comitato permanente per la Catena Alimentare e la Salute degli Animali dell’UE ha approvato la proposta di limitare l’uso di tre di essi: imidacloprid, clothianidin e thiamethoxam. Si prevede che la limitazione entri in vigore entro la fine dell’anno, limitando l’impiego di questi prodotti, esclusivamente, nelle serre.
Alla ricerca di informazioni (e azioni)
La decisione arriva sulla scia di una serie di azioni più efficaci messe in atto da circa un decennio. Nel 2013, la FAO ha pubblicato il suo Codice di condotta internazionale per la gestione dei pesticidi, al fine di regolare l’uso di sostanze già dimostratesi dannose per la fauna.

Fonte: nonsoloambiente.it
Nel 2018, l’indagine The pollination deficit, condotta dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, dall’ONG Fauna & Flora International e dall’Università di Cambridge, ha indagato su come un altro anello della catena economica – il settore privato – stia affrontando il problema. Otto grandi aziende – tra cui The Body Shop, Mars e PepsiCo – sono state intervistate con l’obiettivo di valutare il loro grado di consapevolezza riguardo alla dipendenza delle loro catene di approvvigionamento dalle specie di impollinatori in via di estinzione.
Il sondaggio ha rilevato che soltanto la metà delle otto aziende intervistate sapeva quali delle sue materie prime dipendevano degli impollinatori, evidenziando anche la mancanza di consapevolezza su quali colture e regioni fossero a rischio. C’è, però, un altro dato sorprendente ancora di più: la maggior parte delle aziende coinvolte nel sondaggio non sembra tanto preoccupata dei danni alla produzione che una crisi degli impollinatori potrebbe crear loro, quanto dell’eventuale danno di immagine.
Pur essendo un motivo quantomeno impreciso per agire, forse potrebbe essere questa la chiamata all’azione per una parte importante degli attori che possono influenzare (o meno) la scomparsa delle api. Un’ulteriore sfida alle già molteplici questioni alimentari che dovranno essere affrontate in questo XXI secolo.
Immagine di copertina via milleunadonna.it