La Bulgaria urla, il Mondo tace
Lente e indissolubili scorrono le lunghe giornate di protesta nelle strade e nelle piazze di quello che un tempo fu il Regno di Bulgaria
di Martina Martelloni
C’è una terra che nella intrepida e scalpitante regione dell’Europa dell’Est fa del suo nome, del suo popolo e della sua cultura, uno stendardo da cavaliere. La Bulgaria è l’eccezione in mezzo ad un mare di Stati nati da travagliate divisioni, frammentazioni, guerre e dissoluzioni.
Un tempo impero e regno, quello bulgaro è ancora oggi uno Stato instabile seppur padrone di un’ampia sponda di quel Mar Nero, dalle acque e sabbie ricche di risorse energetiche per l’intero continente.
Da circa 45 giorni la capitale Sofia non conosce riposo. Invasa da suoni, voci e rumore dei passi di chi marcia in strada, la città è scenario perfetto per quel popolo che è stanco di convivere con fenomeni deleteri quali corruzione, disoccupazione e criminalità organizzata. Presidi instancabili ed interminabili di fronte a quello che nominalmente rappresenta il Parlamento, ma che nella realtà è guscio sicuro per chi vi risiede con le sue cariche politiche ansioso nel mantenerle.
La Bulgaria è uno dei paesi economicamente più a picco dell’Europa, con un debito pubblico intorno al 18 per cento del PIL nazionale. I senza lavoro fioriscono quotidianamente mentre le pensioni fanno solletico alle tasche di chi si vede accreditare in media 138 euro al mese da parte dello Stato. Dettati dai palazzi dell’Europa, ancora una volta rigore, austerità e tagli trafiggono – svelando il proprio frutto amaro, acerbo e difficilmente digeribile.
In Bulgaria, però c’è molto altro a crear bruciore nello stomaco dei cittadini. C’è un governo nato per caso in un giorno di maggio incerto per il futuro del Paese, dopo che nessuno dei partiti candidati riuscì a raggiungere numero equo nelle elezioni anticipate. Ci sono dei tecnici che guidano la grande cultura e storia bulgara con al vertice, seduto in poltrona, l’economista indipendente Plamen Oresharki, nominato primo ministro dal presidente Plevneliev in preda ad affrontare un vuoto politico rappresentativo da dover colmare.
Questo esecutivo non piace ai bulgari: le linee tracciate per la gestione e la governabilità del Paese non sono altro che un prolungamento maldestro del precedente esecutivo. Così, si chinano testa e spalle all’Europa con ulteriori restrizioni in materia economica, mentre si volta la schiena a chi, estenuato dalla precaria vita, è ricorso al più antico e longevo mezzo di partecipazione politica e sociale: la manifestazione.
Dal tono pacifico iniziale, ora le grida del popolo bulgaro sono state talvolta accompagnate da scontri ed assedi. Eppure, l’originalità e la voglia di far trapelare il messaggio di richiesta di dimissioni governative, è più forte e vincente. L’unione di tutti i partecipanti ha dato il via ad una iniziativa simbolica dal forte significato comunitario: “la protesta del caffè”.
Da giorni, ogni mattina, decine, centinaia, migliaia di bulgari si recano all’esterno dell’edificio casa dell’Assemblea Nazionale, e danno il via alla manifestazione con tazzine di caffè offerte a tutti i partecipanti. Si condivide il luogo, il tempo trascorso, il sonno mancato, il gusto e l’odore del caffè…ma soprattutto il fine ultimo: “dimissioni”.
Deputati, ministri, esecutivo in toto, resistono con inerme tenacia alla tremolante terra sotto i loro piedi, scossa da coloro che si sentono inascoltati e costretti a sopportare un sistema infido di politica corrotta e strettamente dipendente ad interessi economici. Si parla di oligarchie nazionali ed internazionali curate e cullate da Oresharcki ed i suoi spalleggiatori.
Mentre la Bulgaria grida, il Mondo tace. Troppo poca e sporadica l’attenzione che i media rivolgono a quello che da più di un mese è quotidiano rituale di protesta di un popolo affaticato ma non per questo assuefatto o soggiogato. L’Europa ne è consapevole, ma resta rigida e comodamente seduta ad osservare dall’alto col dito puntato inquisitore. Intanto i bulgari, annegati dalla disoccupazione e mal gestione dei servizi pubblici, bevono caffè sotto le sedi del potere.