Immigrati in Italia, tra aria di cambiamento e vecchie paure
Dalla legge Bossi-Fini al dramma dei CIE fino alla nomina del ministro Kyenge, i pregiudizi e le polemiche su un argomento che più di ogni altro divide l’opinione pubblica
di Lorenzo Tagliaferri
La questione immigrazione nel nostro paese è stata sempre uno dei punti focali di diverse campagne elettorali dal dopoguerra ad oggi. La “paura dello straniero” ha generato pagine controverse per la storia di questo paese a partire dai movimenti per l’autodeterminazione, come la Lega Nord, passando per la legge Bossi-Fini, fino ad arrivare ai drammi quotidiani vissuti nei CIE, i centri di identificazione ed espulsione divenuti famigerati per una lunga serie di incidenti e proteste da parte degli immigrati in essi trattenuti.
Il fatto nuovo, sul fronte istituzionale, è la nomina da parte del governo Letta di Cécile Kyenge al dicastero per l’integrazione. Il primo ministro di colore nella storia repubblicana d’Italia. Una nomina che ha un significato importante in un periodo caratterizzato da alcuni eventi raccapriccianti con protagoniste persone di colore nonché immigrati irregolari.
A storcere il naso per la nomina del ministro Kyenge è soprattutto la Lega Nord, attraverso le parole di Matteo Salvini che qualche giorno fa ha commentato le posizioni di apertura del neo-ministro sullo ius solis come “un cattivo segnale che non aiuta certo la pace sociale”, aggiungendo anche che, riguardo al reato di clandestinità, la Lega è pronta a seppellire il ministro Kyenge sotto una valanga di firme per un inasprimento nelle condanne. Diametralmente opposto è, invece, il parere dei Radicali Italiani sulla clandestinità. Si fanno avanti, infatti, per chiedere l’abrogazione di tale reato e la revisione delle condizioni di precarietà nell’ambito lavorativo degli immigrati attraverso due quesiti referendari. L’impegno e l’importanza dei quesiti sono sottolineati dalle parole del Segretario dei Radicali, Mario Staderini: “In questi anni, inseguendo l’ideologia leghista ci si è illusi di gestire un fenomeno sociale proibendo e criminalizzando, mentre serve far comprendere che l’immigrazione è un’opportunità”.
Le controverse condizioni lavorative degli immigrati in Italia fanno il paio con le altrettanto controverse condizioni di permanenza sul territorio nazionale. In questo senso ci si augura che, ancor prima di dare vita ad un nuovo sistema di regolamentazione dei flussi o di riconoscimento del diritto al lavoro regolare, ci si muova per risolvere l’annosa questione dei CIE, i centri di identificazione ed espulsione, strutture estremamente carenti nei servizi e costantemente oltre il limite massimo di accoglienza.
Questo è quanto emerge dal dossier “Arcipelago CIE”, indagine condotta dal MEDU (Medici per i Diritti Umani) nei CIE presenti sul territorio al fine di approfondire la conoscenza delle
modalità di gestione dei servizi socio-sanitari, di valutare le condizioni sanitarie dei migranti trattenuti e di monitorare il rispetto del diritto alla salute, degli altri diritti umani e della dignità della persona nelle diverse strutture visitate.
Un lavoro lungo un anno (dal febbraio 2012 al febbraio 2013) che ha messo in evidenza l’impossibilità di poter continuare in questo senso, dettagliando metodi e necessità immediate anche attraverso l’analisi sull’esperienza diretta degli internati. Una questione che su Ghigliottina approfondiremo nelle prossime settimane.
Per saperne di più: Medu