Il voto e la rabbia del Pakistan
Tra democrazia e terrorismo, si sono svolte le ultime elezioni in terra pakistana. Affluenza crescente, come anche il sangue versato in strada in nome dell’odio politico, etnico e ideologico
di Martina Martelloni
Si è espresso il diritto di voto in Pakistan e, con esso, anche il diritto alla libertà in un paese considerato discepolo degli Usa e che conosce l’indipendenza dall’Impero britannico dal non troppo distante 1947.
A cantare vittoria è stato il partito della Lega Musulmana capitanato dall’ex premier Nawaz Sharif. Gloria amara, la sua, per assenza di quella completa maggioranza che farebbe del Parlamento un suo regno del potere.
Sorpresa e sgomento per il secondo arrivato, il Movimento per la Giustizia con un leader alquanto fuori dagli schemi della politica. L’ ex campione di cricket Khan si è fatto portavoce di idee diverse e controverse, rispetto alla classica colonna sonora suonata dai palazzi decisionali – Khan ha denunciato con urlante fermezza l’occultamento di brogli elettorali.
Mentre fila di persone hanno manifestato a testa alta il loro diritto al voto politico, attivo e volontario, diverse minacce divenute poi reali hanno sporcato quei giorni di democrazia pura.
I Taliban. Sono loro che per lungo tempo fino a quell’11 maggio, giorno di voto e di rinnovamento, si sono resi baluardi ostentatori di parole di morte e tragedia contro chiunque si recasse alle urne. Il movente è subdolo ed oscuro. Tehrik-e-Taliban Pakistan, l’organizzazione militante islamista leagata ad Al Qaeda, è forte della sua influenza totalizzante nelle zone tribali del nord ovest del Paese fino al Waziristan – localizzata al confine con la ben più scottante Afghanistan, madre originaria del movimento studentesco nato alla fine degli anni ’70.
Stretto ed inossidabile è il legame tormentato che lega i due Territori, e il nodo cruciale ed iniziale è il sistema etnico-tribale.
I Pashtun. Sono proprio questi tradizionali uomini pastori che uniscono Pakistan ed Afghanistan e nel tempo ne sono diventati dipendenti fino a perdere il controllo della componente attiva nel movimento che dall’occupazione sovietica ha enormemente esteso il suo spirito battagliero
Il supporto ai Talebani ha infatti origine americana in chiave antisovietica; ma anche saudita e, per l’appunto, pakistana proprio per la comune presenza della tribù Pashtun entro entrambi i confini. In passato lo stesso governo pakistano tentò di sfruttare il potere dei Taliban ritrovandosi poi condizionato ed assoggettato.
Determinante e da non confondere è la natura di Al Qaeda con quella del movimento universitario che vanta una omogeneità tribale pashtun, mentre per l’organizzazione divenuta oramai internazionale si parla lingua multiforme che supera i confini tribali comprendendo diverse nature al suo interno.
I Taliban combattono l’ideologia occidentale, sfidano gli Usa che a loro volta cercano appoggio e base in Pakistan per tenere sotto tiro e sotto mano la oscillante situazione Afghana.
Elezioni 2013, un evento segnato da due contraccolpi opposti. Se da una sponda si lanciano aquiloni di libertà e democrazia considerando l’elevata affluenza alle urne di chi ha scelto di esprimersi politicamente e socialmente, dall’altra parte diversi attentati hanno ferito il cuore di Karachi, la città più popolosa del Paese.
In 39 hanno perso la vita nei giorni del diritto politico attivo dei cittadini. Il perché è come sempre la pretesa di controllo e di monopolio nei confronti di chiunque salirà al governo. Lotte continue tra gruppi di potere cercano di strumentalizzare la posizione privilegiata di alleato agli Stati Uniti. Ma poi c’è il terremoto Taliban che si addentra tra le radici istituzionali entrando in contatto con i servizi segreti pakistani, scuotendo qualsiasi tentativo di democrazia.