Quel non luogo chiamato Guantanamo
Reclusi senza diritti, prigionieri senza giustificati motivi, violenza e tortura per la libertà e la sicurezza del Paese più democratico del Mondo: lo sciopero della fame nel carcere senza legge di Guantanamo
di Guglielmo Sano
Ogni volta che si ripercorrono le vicende che riguardano il campo di detenzione statunitense sito nella base navale cubana di Guantanamo, è come se si riapririsse una profonda ferita nella storia dei diritti umani e della giustizia.
Un vero e proprio carcere di “massima sicurezza”, quello in questione, che avrebbe dovuto accogliere i “terroristi” colpevoli di attentare alla sicurezza americana. Voluto fortemente nel 2002 dall’amministrazione di W. Bush a ridosso della guerra contro il regime afgano dei talebani, la sua apertura, ha suscitato da subito dubbi e sconcerto nell’opinione pubblica mondiale.
Si scelse come luogo ove farlo sorgere, l’unica base militare americana in un paese comunista: Cuba – che, da par suo, dalla rivoluzione castrista in poi, ha scelto di non riconoscere l’accordo che ha sancito il passaggio del territorio della Baia di Guantanamo agli Stati Uniti. D’altronde il paese di Fidel Castro non riscuote più il relativo “affitto” di 4000 dollari che gli spetterebbe – eccetto una volta, nei momenti immediatamente successivi al colpo di Stato.
Questo dettaglio basterebbe di per sé ad identificare Guantanamo come un “non-luogo”, un territorio sospeso e senza coordinate, ma anche senza legge e senza controllo. Nel carcere per “nemici combattenti” non esistono certezze per i diritti umani: ogni prigioniero ancor prima che del governo degli Usa, è vittima della “paura”, della “paranoia” diffusasi nella società americana “post-9/11”. Vittima di un sentimento di “angoscia” generalizzata che, invece di essere acquietato, viene foraggiato da messaggi e decisioni politiche, incanalato e gestito per mettere a tacere le coscienze.
Sevizie e torture di ogni genere: presunte alcune, dimostrate molte, probabilmente dimostrabili molte altre ancora; e non sempre i detenuti sono stati passivamente disposti a subirle. È capitato negli scorsi anni, tra l’altro in concomitanza con numerosi appelli di organizzazioni non governative per i diritti umani – su tutte Amnesty International – che i detenuti scioperassero privandosi del cibo e dell’acqua.
Mai però uno sciopero della fame ha coinvolto la maggioranza dei prigionieri come nel caso dell’ultima protesta, partita il 6 Febbraio. Più di 100 detenuti su 166 hanno deciso di partecipare – sono stati esclusi soltanto quelli più anziani, che avrebbero rischiato seriamente la propria vita.
Sembra che la scintilla sia scattata in seguito ad una profanazione delle copie del Corano, in possesso dei prigionieri. E’ accaduto durante un controllo “imprevisto, improvviso, irrispettoso”. Tutto ciò è stato immediatamente smentito dal Comando della Base, che ha inoltre riferito: “continue sono le rassicurazioni sulla salute dei detenuti, tutti quelli dei campi 5 e 6, che stanno partecipando allo sciopero della fame. Invece sembra che le condizioni di almeno 25 di questi siano critiche e che per loro sia stata imposta l’alimentazione forzata attraverso sonde naso-gastriche, molti altri sono stati posti in regime di isolamento”.
Preoccupanti in particolare sembrano le condizioni di uno dei prigionieri: Nabi Abdjarab, avrebbe perso 20 kg. Talmente debilitato da non poter camminare e rispondere al telefono, ha messo in moto le iniziative dello zio Amhed, che ha lanciato una petizione.
Tra i firmatari della petizione anche Morris Davis, ex procuratore militare di Guantanamo, che ha dichiarato: “ un sistema di assenza di capi di accusa vi tiene imprigionati a tempo indeterminato, dove un’accusa per crimini di guerra vi aprirebbe la strada verso il rimpatrio” e ha inoltre aggiunto che “Guantanamo costa troppo, è inefficiente e moralmente condannabile”. Clive Stafford Smith, avvocato di 15 detenuti, ha sottolineato che “il 52% dei prigionieri è suscettibile di scarcerazione”.
In dieci anni di esistenza, Guantanamo ha “ospitato” 779 persone. Al momento soltanto tre di questi sono stati riconosciuti colpevoli di crimini di guerra e trasferiti nei propri paesi di origine. Soltanto altri sei sono attualmente sotto processo, in un tribunale militare “eccezionale”. Solo il 5% dei detenuti di Guantanamo sono perseguibili penalmente. Dei 166 attuali prigionieri, 86 sono” trasferibili”, 40 non sono “giustiziabili” per mancanza di prove.
Barack Obama si è sempre dichiarato a favore della chiusura del campo di carcerazione e, al momento, si è limitato a rafforzare la presenza di operatori sanitari nel campo. Il presidente ha incassato il perentorio diniego del Congresso, ogni volta che ha sollevato la questione della chiusura del carcere.
Nel Dicembre del 2009 I senatori hanno rifiutato la proposta di Obama di trasferire i prigionieri in un carcere dell’Illinois, la loro posizione non accenna a cambiare anche in vista del vuoto legislativo, relativo alla chiusura del campo, che porterebbe perfino alla scarcerazione di Khalid Cheikh Mohammed, considerato responsabile degli attentati dell’11 Settembre.
Durante l’amministrazione di Obama il campo ha ricevuto un incremento degli investimenti, l’ultimo dei quali di quasi 50 milioni di dollari utilizzato per costruire un’ala per prigionieri “speciali”. Obama, forse controvoglia e costretto dal Pentagono, pur dichiarandosi a favore dello smantellamento ha operato nella direzione opposta a questo. Ultimamente si è limitato a proporre la sostituzione dell’attuale responsabile del carcere, criticato per la sua gestione brutale della struttura.