Etiopia, futuro nelle mani di Ahmed
Svolta storica: per la prima volta un leader Oromo al comando. La nuova carica farebbe ben sperare per la risoluzione delle discriminazioni etniche
L’Etiopia ha un nuovo leader. Lo scorso 27 marzo Abiy Ahmed è stato nominato a capo della coalizione di maggioranza – il Fronte Rivoluzionario Democratico dell’Etiopia (EPRDF) – e si prepara, così, a diventare Premier del Paese. La costituzione vigente, infatti, prevede che sia proprio il capo politico della coalizione a guidare il governo. I 447 seggi sono ripartiti dalle 4 forze del Paese: l’Organizzazione Democratica degli Oromi (OPDO), il Movimento Democratico dell’Etiopia del Sud (SEPDM), il Movimento Democratico di Ahmara (ANDM) ed il Fronte di Liberazione Tigrino (TPLF).
Non sarà un compito facile, per Ahmed: la prima sfida che dovrà affrontare sarà quella di ritrovare amalgama e unità di intenti all’interno della stessa coalizione, in conflitto da anni sull’eventualità di apportare riforme chieste da buona parte della popolazione, gli Oromo e gli Amara. L’Etiopia, infatti, in questo momento è una realtà a due facce: da un lato, sta vivendo una forte crescita economica che si accentra soprattutto nelle aree urbanizzate; dall’altro, è dilaniata da tensioni sociali tra le diverse etnie e tra queste ed il governo, cui la classe politica non è riuscita a trovare soluzione.
Ahmed, 42 anni, con un passato militare in azioni di peace keeping, è stato direttore dell’Agenzia sulla Sicurezza Informativa, una volta entrato in politica ha ricoperto il ruolo di Ministro di Scienza e Tecnologia. Nato nella regione di Oromia, la più grande e popolosa del Paese, era leader proprio dell’OPDO.
Adesso si troverà a sostituire il dimissionario Hailemariam Desalegn che lo scorso 16 febbraio aveva fatto un passo indietro, alla luce dello stato di forte tensione che stava vivendo, e vive, il Paese. Da oltre un anno, infatti, in Etiopia vige lo Stato di Emergenza, deciso dallo stesso Desalegn. Al momento dell’abbandono, l’ex premier si era fatto da parte per “permettere di avviare una serie di riforme e ristabilire pace e democrazia nel Paese”.
L’insediamento di Abiy Ahmed è una scelta tattica proprio in questo senso. Come dicevamo, il futuro Primo Ministro è, per la prima volta nella storia del Paese, di origini Oromo: questa etnia, nonostante sia la più presente sul territorio con 95 milioni di abitanti (su 104 totali), subisce da decadi una forte marginalizzazione e discriminazione in termini di diritti sociali e civili. L’ultima esplosione di dissenso e lotte interne, che ha portato, poi, allo stato di emergenza risale a circa tre anni fa.
Le manifestazioni iniziarono nel 2015: gli Oromo, popolo prevalentemente agricolo e seminomade, iniziò a protestare contro la massiva urbanizzazione di Addis Abbeba che andava a intaccare anche le loro terre, privandoli di sussistenza e modificandone lo stile di vita. Il Governo non era intervenuto in loro favore e, anzi, iniziò una repressione ancora in atto. Tra Agosto 2016 e Marzo 2017 sono stati denunciati 669 morti dalla Commissione Etiope di Diritti Umani, oltre 700 prigionieri politici tra giornalisti, militanti e attivisti. Dati confermati anche da Amnesty International.
Il primo cambiamento di Ahmed, atteso dall’Etiopia come dalla comunità internazionale, è quello di mettere in atto delle riforme legislative volte a includere tutte le espressioni etniche e sociali di cui si era già parlato in passato ma che non si sono mai concretizzate. Ci sono forti aspettative anche rispetto ad una possibile revoca dello stato di emergenza e la conseguente ritirata delle forze armate dall’Oromia ed il rilascio dei presi politici.
Abiy Ahmed, per il suo passato da militante di campagne di pace e per la sua preparazione accademica, al momento, sta ricevendo il sostegno della maggior parte dell’opinione pubblica e dell’opposizione. Ma le prime uscite saranno fondamentali per confermare le sensazioni. Tra gli scettici c’è chi sostiene che lo stesso Ahmed sia stato da troppo tempo un uomo del sistema governo per poter essere completamente immune, o almeno quanto basta, da influenze politiche.