Solidali sì, ma col sudore degli altri: a Tallinn in scena i soliti “partner europei”

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Segnali negativi al vertice informale dei ministri dell’interno Ue sulla proposta italiana di aprire altri porti europei per l’accoglienza ai migranti. Intesa invece su Libia, Ong e rimpatri. Ma il problema non sono le istituzioni europee, quanto le politiche dei singoli Stati, i cui governi badano prevalentemente agli umori del proprio elettorato

di Marco Assab
su Twitter @marcoassab

Dal vertice di Tallinn l’Italia esce con una certezza ancora più rafforzata: sui migranti deve sostanzialmente arrangiarsi, perché l’Europa li considera di fatto un problema italiano e non ha la benché minima idea di come risolvere la questione. La solidarietà delle chiacchiere si è tradotta, ancora una volta, nell’intuibile rifiuto ad aprire altri porti dell’Ue per far fronte alla pressione migratoria di queste settimane. Richiesta legittima in considerazione del fatto che, con il bel tempo, gli sbarchi sono destinati a moltiplicarsi.

Arrivando alla riunione nella capitale estone, il ministro dell’interno tedesco De Maziere ha subito precisato: “Non sosteniamo la cosiddetta regionalizzazione delle operazioni di salvataggio”. E uno. Avanti il prossimo, il collega spagnolo Juan Ignacio Zoido, che afferma: “L’Italia ha chiesto aiuto, e noi vogliamo dargliene, ma i porti della Spagna sono sottoposti ad una pressione importante nel Mediterraneo occidentale, aumentata del 140%, che impone anche a noi un grosso sforzo per i salvataggi in mare”. Vorrei ma non posso insomma. C’è poi anche il Belgio, quello dal fulgido passato coloniale in Congo firmato da Re Leopoldo II, a far capire che non c’è trippa per gatti: “Non credo che il Belgio aprirà i suoi porti”, afferma il ministro Theo Francken.

Dunque, al momento, nulla cambia, e le navi di Ong straniere che soccorreranno i migranti continueranno a sbarcarli nei porti italiani, perché si tratta dei porti più vicini. A noi dunque l’onere della prima accoglienza e, stando ai famosi accordi di Dublino, anche il disbrigo delle pratiche d’asilo. Prosegue dunque l’insopportabile contrasto tra la solidarietà delle chiacchiere, del “non lasceremo sola l’Italia”, e i fatti che vedono il nostro Paese praticamente solo nella gestione dei flussi migratori mediterranei. Il ministro dell’Interno italiano Marco Minniti ha precisato che l’apertura di altri porti Ue non era argomento di discussione, non essendo Tallinn la sede giusta, e che l’Italia ha “mandato una lettera alla sede formale che ne deve discutere, che è Frontex”. In quella sede se ne parlerà la prossima settimana, ed “è evidente”, ha sottolineato Minniti, “che su questo punto ci sono posizioni contrastanti”. Tuttavia, le dichiarazioni dei suoi colleghi, fanno molto poco sperare in una risposta positiva da Frontex. “Aprire più porti non risolverà il problema”, afferma l’omologo olandese Stef Blok, e ha ragione, peccato però che l’Europa non abbia la benché minima idea di come affrontarlo questo problema.

A Tallinn l’intesa si è raggiunta su un maggior impegno per la Libia e altri Paesi terzi chiave, sulla necessità di redigere un codice di condotta per le Ong, e sul tema dei rimpatri. Ora, sul primo punto saremmo tutti ansiosi di sapere in cosa consista, nei fatti, questo “impegno” per la Libia. Con quali modalità e finalità sarà operativo il “centro di coordinamento” in Libia per i salvataggi che è stato annunciato?  Ma poi di quale Libia stiamo parlando? Quella di Tripoli sostenuta dall’Italia, o quella di Tobruk?

Sul secondo punto, anche chi da sempre si è detto a favore dell’accoglienza, riconoscerà la necessità di fare un po’ di ordine e chiarezza tra la miriade di sigle di Ong che soccorrono le imbarcazioni in difficoltà. Tra i vari obblighi, che verrebbero imposti alle organizzazioni, c’è anche quello di dichiarare, coerentemente ai principi di trasparenza, le fonti di finanziamento dell’attività di soccorso in mare.

Ma per il resto cambia poco. E l’elenco delle storture viste in questi anni è lungo.

1) Sulla politica dei ricollocamenti abbiamo a che fare con l’opposizione dei quattro 4 irriducibili, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, contro i quali sono già state aperte procedure di infrazione. Quando si parla di ricollocamenti ci si riferisce solo ai richiedenti asilo, quindi ai rifugiati (siriani, iracheni, eritrei), che sono una percentuale molto bassa sul totale dei migranti. Il rifiuto dei 4 ex Paesi comunisti è di matrice puramente politica.

2) L’Italia aveva chiesto di rivedere gli accordi di Dublino, cioè quelli che obbligano il migrante a chiedere asilo nel Paese europeo dove ha messo piede, anche se desidera andare altrove. Tali regole, a fronte di flussi straordinari, penalizzano molto i Paesi di frontiera. Risultato: tanti buoni propositi, appelli della Commissione europea, fatti zero.

3) Schengen viene sospeso a piacimento da chiunque si svegli la mattina e decida di farlo. Può anche capitare che l’Austria minacci di inviare blindati e soldati al Brennero, così, senza che se ne comprenda il motivo (forse per fare una rievocazione storica?), costringendo l’Italia a convocare l’ambasciatore austro(ungarico) per chiarimenti. Hanno detto poi di averci ripensato.

Il Gruppo Visegrad, composto da Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia

4) Non esiste una politica estera comune dell’Ue. Gli interessi nazionali sono ancora preminenti e lo abbiamo visto proprio in Libia nel 2011, durante la guerra civile. Il problema dei migranti richiede sforzi di politica estera concreti ma, prima di tutto, una visione chiara e condivisa. Sulla Libia qual è la visione dell’Ue? Ne ha una? E di quello che accade sotto la Libia, oltre il deserto? Molti pensano di risolvere il problema dei flussi intervenendo in Libia, quando invece le radici economiche e politiche di questo dramma epocale si trovano nei Paesi di origine dei migranti.

In definitiva: sull’immigrazione ogni governo gioca una partita politica fondamentale, e i voti contano più della solidarietà, delle vite umane e dei valori fondanti europei. Restare in sella al cavallo seguendo gli istinti del corpo elettorale, cambiare rotta in base a come spira il vento, questa la priorità finora manifestata dai governi.

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