Su e giù per le scale di Monica Dickens
Per la prima volta è tradotto in Italia “Su e giù per le scale” di Monica Dickens: le avventure di una giovane dell’alta borghesia inglese decisa a sperimentare la vita “vera” dalle cucine dei ricchi, suoi pari, presso i quali prende servizio spacciandosi come cuoca tuttofare
di Giusy Andreano
su Twitter @giusy_andreano
Che cosa resta da fare ad una ragazza pronipote del celebre Charles Dickens, benestante e insofferente alle regole della classe sociale a cui appartiene, quell’upper class inglese di inizio XX secolo imbalsamata nei retaggi dell’epoca vittoriana da poco conclusasi, per rendere meno noiosa la sua esistenza?
Dopo ever intrapreso la via dell’emancipazione con una rituale esplusione dall’esclusivo college femminile, una recalcitrante partecipazione al ballo delle debuttanti e una improduttiva sortita a una scuola d’arte drammatica, Monica Dickens, autrice e protagonista di questo memoir Su e giù per le scale (per la prima volta tradotto in Italia dalla casa editrice Elliot), decide di fare la cosa più improbabile che ci si aspetti da una donna della sua classe sociale, lavorare.
L’idea è quella di diventare cuoca e mettere a frutto quanto appreso durante le lezioni di una scuola di cucina francese a Londra, che le avevano dimostrato come l’impossibilità di riuscire a fare un uovo bollito potesse essere compensata dalla capacità di preparare l’aragosta alla Thermidor.
La famiglia le ride in faccia, del resto cuoca e cameriere si occupano delle esigenze della loro casa da sempre, ma la Nostra è determinata a non cedere.
Ogni nuovo ingaggio di lavoro, procuratole da un’agenzia specializzata o dalle inserzioni sul giornale, sono motivo per impersonare di volta volta un personaggio nuovo, come la ragazza orfana di padre, che si veste per mostrare una tragica signorilità. La protagonista si rifornisce negli eleganti negozi di Oxford Street per comprare gli abiti di scena, grembiuli e divise, che segnano l’ingresso nelle dimore di persone ricche di denaro, ma spesso carenti nei modi, pronte a considerare la servitù come una categoria inferiore di esseri umani.
Il piacere di questo libro è nell’occhio appuntito della Dickens che, con humour tutto inglese e armata del piacere della scoperta, riesce a mettere in evidenza le miserie tanto dei padroni quanto della servitù, con uno spiccato senso del dramma di quelle esistenze.
Le lotte tra nanny e semplici cameriere, il senso del rispetto delle differenze di classe dal sapore medievale, i pettegolezzi alle spalle dei padroni vissuti come rivalsa sono il campionario di questa radiografia sociale.
Una casa a King’s Road nel raffinato quartiere di Chelsea, una dimora a South Kensington e una tenuta di campagna nelle Chilterns Hills, sono i laboratori dove l’autrice scopre la sua scarsa propensione al duro lavoro e il suo innato ingegno nel nascondere i segni della sua sbadataggine.
Non immaginatevi situazioni alla Quel che resta del giorno, dove scopo primo e solo dell’esistenza del fedele maggiordomo è quello di svolgere il suo compito a livelli altissimi .
Nel caso di Monica Dickens i cocci sono fatti scomparire a calci sotto i fornelli, la polvere è ben nascosta sotto il letto, le posate vengono riutilizzate per non doverne pulire altre. Questi sono solo alcuni degli stratagemmi per alleggrire l’immane carico di lavoro che più o meno tutti i padroni si sentono autorizzati ad esigere da questa irriverente figlia di Albione.
Spesso il cibo è bruciato, cotto in maniera improvvisata, caduto e rimesso nel piatto, numerosi gli incendi domati, in una girandola di gag divertenti.
Per un anno e mezzo Monica assiste alla perpetua lotta tra i ricchi e la servitù, sopportando padroni impertinenti, padrone gelose, signori che tengono i liquori sotto chiave, signore con la mania di passare il dito sopra i mobili, “ma col tempo ci si abitua a tutto” anche se spesso “la stanchezza mi rendeva infelice e molte volte sciacquavi i piatti con lacrime di autocommiserazione”.
Tra queste peripezie il vero pericolo è rappresentato dalla possibilità di incrociare ai ricevimenti dei suoi padroni persone di sua conoscenza, come quando all’annuale ballo dei domestici è riconosciuta da una sua ex fiamma.
Pagina dopo pagina, ci si ritrova a fare il tifo per questa scanzonata ragazza, che con perseveranza continua a proporsi, perché ha scoperto la soddisfazione che dà aver concluso una giornata di lavoro onesto.
Naturalmente si potrebbe obiettare quanto fosse crudele l’idea di trovare un lavoro soltanto per divertimento, a spese dei padroni e degli stessi colleghi, soprattutto nei confronti di questi ultimi, che a differenza di Monica non potevano sottrarsi a quel gioco di bizze e richieste impossibili che costituivano la quotidianità della servitù del tempo, persone sempre di cui ridere e mai con cui ridere insieme.
Obiezioni morali a parte, l’intrattenimento divertente e arguto è il regalo che ci fa questo libro, molto più gustoso di una crêpe Suzette.
“Su e giù per le scale”
di Monica Dickens
Elliot edizioni, 2015
pp. 256