Quel medico che venne suicidato
Niente giustizia per Attilio Manca, il brillante chirurgo messinese indicato come “L’urologo di Provenzano”. Non delitto mafioso, ma decesso per overdose. La procura di Viterbo ha archiviato il caso ma le incongruenze restano, forti e ingombranti
di Gugliemo Sano
Quando venne ritrovato senza vita presso la sua abitazione, Attilio Manca era un ragazzo di quasi 35 anni. Era brillante e preparato, era un medico – un urologo, per la precisione. Era uno dei più bravi nel suo campo, tra i primi in Italia ad aver appreso le tecniche laparoscopiche per l’intervento sulle patologie dell’apparato urinario. La sua famiglia è di Barcellona Pozzo di Gotto in provincia di Messina ma lui, nato in Veneto, aveva studiato a Roma. Una volta specializzatosi a Parigi, nel 2002 vince il concorso e viene assunto all’ospedale di Viterbo.
Intorno alle ore 11 del 12 Febbraio 2004, i colleghi dell’ospedale “Belcolle” si recano nella sua abitazione di via Santa Maria della Grotticella allarmati da un ritardo sospetto, molto strano per un tipo puntuale e preciso come Attilio. Una volta entrati nell’appartamento del giovane chirurgo, gli si pone davanti la scena peggiore che potessero aspettarsi: Attilio giace esanime sul letto, non c’è più niente da fare.
Il suo corpo è posto trasversalmente sul letto, la stanza è in ordine, anche le lenzuola sono composte come se nessuno vi avesse dormito la notte precedente; i suoi pantaloni sono ripiegati proprio lì accanto, su una sedia, stranamente non c’è traccia della camicia e dei boxer. Salta subito all’attenzione degli inquirenti una vistosa macchia di sangue, una “pozzanghera”, che bagna parte del suo corpo, che attraversa il piumone e il materasso, che si riversa copiosamente sul pavimento. D’altronde Attilio ha il setto nasale completamente deviato, ecchimosi su tutto il corpo e segni di legatura, perfino un testicolo ingrossato.
Ci sono anche due piccoli fori sulla pelle di Attilio, entrambi sul braccio sinistro: uno sull’avambraccio e un altro sul polso. Sono evidenti tracce di iniezioni: nella camera da letto, sulla soglia della stanza da bagno, viene trovata una siringa con il salva-ago ancora inserito. Un’altra siringa viene trovata in cucina, nella pattumiera, oltre al salva-ago, questa ha anche il proteggi-stantuffo. Entrambe si presentano usate. Nella pattumiera vengono trovati anche due flaconi di sedativo, il Tranquirit, uno è vuoto a metà e l’altro lo è del tutto. Sulla scrivania ci sono bisturi, ago con filo di sutura inserito, i suoi strumenti da lavoro. Di solito non li porta mai a casa.
Viene disposto, come di routine, l’esame autoptico. Cominciano le lacune investigative sulla sua morte, le “omissioni e abnormi inerzie” di cui parla il legale della famiglia Manca: Fabio Repici. Nel sangue di Attilio ci sono tracce di Acetil-morfina, metabolita dell’eroina, di Diazepam, principio attivo del Tranquirit, e una “non ingente quantità” di alcol etilico. Il mix delle tre sostanze avrebbe causato la morte del giovane chirurgo, sopravvenuta in seguito a edema polmonare e infine arresto cardio-circolatorio. Il setto nasale deviato invece? Attilio è caduto sul telecomando. Nelle foto appena successive al ritrovamento, il telecomando, però, è da tutt’altra parte: sotto un braccio, sul quale si presentano anche i segni imposti, sulla pelle, dai tasti.
I buchi che il “tossicodipendente” Attilio Manca si sarebbe procurato iniettandosi la “dose” sono sul braccio sinistro. Ma Attilio è un mancino puro, nel senso che non usa la mano destra, come molti testimoni hanno dichiarato agli inquirenti. La sera dell’11 Febbraio doveva vedersi anche con il suo mentore, il Dott. Ronzani, urologo al Gemelli di Roma: proprio quella sera avrebbe deciso di suicidarsi? Perché non vengono svolte maggiori indagini sulle 20 ore precedenti al decesso di Attilio, totalmente ignorate dagli investigatori?
Qualora anche Attilio fosse stato un “tossico”, non andrebbe tralasciato il fatto che oltre a quei due buchi non ne sono stati trovati altri sul suo corpo – un medico di tale caratura potrebbe davvero somministrarsi della droga in quantità così pericolose? Qualora anche Attilio fosse stato un “drogato”, è davvero ipotizzabile che la droga fosse già pronta, nella siringa? Dove sono la carta stagnola o il cucchiaio usati comunemente per “squagliare” l’eroina? Sono le prime cose che vengono trovate accanto ai morti di overdose, solitamente.
Le incongruenze continuano, con gli esami sulle impronte digitali. In particolare, ne viene trovata una del cugino di Attilio, Ugo Manca, tecnico radiologo all’ospedale di Barcellona Pozzo di Gotto nonché pregiudicato notoriamente legato alla malavita organizzata. L’impronta palmare di quest’ultimo viene trovata in bagno, Ugo Manca dice di aver visitato l’abitazione del cugino due mesi prima.
Non si comprende come possa, una traccia papillare, aver resistito così tanto tempo nel luogo con più umidità, maggiore causa di deperimento delle impronte, della casa. Inoltre non si capisce come non si siano riscontrate le impronte dei familiari che erano andati a trovare Attilio per le vacanze natalizie, la madre aveva anche lustrato la casa da cima a fondo – elemento che ancora di più contraddice Ugo Manca – o quelle degli amici con cui si era ritrovato a cena pochi giorni prima, il 6 Febbraio.
Se è stato Attilio ad iniettarsi la sostanza letale ci saranno naturalmente le sue impronte sulle siringhe trovate a casa sua. Ebbene, di impronte, sulle siringhe, non ne sono state rinvenute, qualcuno ha usato dei guanti? Per la Procura di Viterbo nessuno di questi dubbi potrebbe giustificare l’apertura di un procedimento: le posizioni di Ugo Manca, di altri quattro barcellonesi e di una signora romana sono state archiviate. Insomma: per la magistratura la morte di Attilio è dovuta a un suo “atto estremo” – o comunque la sua è una morte legata alla droga.
Nelle indagini intervengono nuovi fattori che proiettano sulla vicenda l’ombra del più grande latitante di Cosa Nostra: Bernardo Provenzano. Nel 2005, sulla Gazzetta del Sud, vengono pubblicate le dichiarazioni di un pentito, Francesco Pastoia, che racconta di come un urologo siciliano avrebbe assistito Provenzano nel suo rifugio.
Poco dopo il pentito Mario Cusimano riferisce che nell’autunno del 2002 lo stesso Provenzano si sarebbe recato a Marsiglia, sotto falso nome, per un delicato intervento chirurgico alla prostata. Nello stesso periodo Attilio si trovava proprio a Marsiglia. Testimonierebbero il fatto alcune telefonate tra il chirurgo e la madre. La Procura di Viterbo ancora oggi si rifiuta di acquisire quei tabulati telefonici.
Pesano sulle indagini anche le dichiarazioni del “messaggero” di Provenzano, che tentò di trattare la resa del boss di Corleone con il Procuratore della DNA, Pierluigi Vigna. Questi ha dichiarato al microfono di Sandro Ruotolo, giornalista di Servizio Pubblico trasmissione di Michele Santoro che Provenzano avrebbe passato il periodo post operatorio in un casolare ubicato tra L’alto Lazio e l’Umbria. Troppe coincidenze?
Pochi giorni fa un tale M.L.B., commentando un articolo di Globalist.it proprio sull’archiviazione del caso del medico barcellonese, ha dichiarato di aver visto Attilio all’ospedale di Castelvetrano in Provincia di Trapani. Il chirurgo, secondo la testimonianza di quello che sembra un componente del personale ausiliario di quell’ospedale, “accerchiato” da altri boss tra cui i Lo Piccolo, avrebbe consigliato a Provenzano l’intervento in Francia.
Una bugia, un depistaggio o una nuova speranza per raggiungere la verità?