Le “finte” larghe intese
L’esecutivo Letta e la convivenza impossibile tra Pd e Pdl
di Samuele Sassu
È fin troppo facile battere sempre sullo stesso tasto per chi osserva e critica l’operato di un governo e di una maggioranza. Sarà anche mancanza di fantasia, ma mai come oggi è impossibile non restare sgomenti di fronte a una precarietà e un continuo ricattare che rende drammatico farsi carico di decisioni e responsabilità. L’esecutivo Letta e la maggioranza Pd-Pdl proseguono a piccoli passi all’insegna dell’instabilità, dimostrando che l’idea di una grande coalizione italiana in grado di operare per il bene del Paese è pura fantasia.
A tenere banco sono le questioni dell’imposta sulla prima casa e del lavoro. Sospeso il pagamento dell’Imu a giugno, con due miliardi di anticipi ai Comuni, come rimborso, e 800 milioni per finanziare quattro mesi di cassa integrazione in deroga. Un provvedimento tampone difeso da Enrico Letta che continua a sottolineare l’impegno del suo governo per soccorrere il Paese.
I Comuni tremano. Certamente gradito il prestito a tasso zero da parte del governo, per sopperire all’immediata sparizione dell’Imu di giugno. Tuttavia l’estate è più vicina di quanto sembri e a settembre servirà qualcosa di più di un semplice prestito, che equivale a nascondere montagne di polvere sotto un tappeto. Il presidente del Consiglio, tuttavia, prova a tenere i piedi per terra: cerca risposte da dare agli italiani, ma esclude eventuali miracoli. Il decreto varato la scorsa settimana assicura soltanto un centinaio di giorni per mettere in piedi le riforme tanto richieste.
Il tema dell’Imu è all’ordine del giorno, soprattutto per Silvio Berlusconi che ribadisce durante ogni intervento: “Cancellare l’Imu è la condizione per andare avanti con questo governo”. Il soldatino Brunetta rincara la dose: se entro agosto non sarà portata a termine la riforma complessiva della tassazione degli immobili (capannoni compresi), il governo Letta cadrà.
La convivenza tra Pd e Pdl al governo è ogni giorno minacciata da botta e risposta che si levano da entrambe le parti. A dire il vero, l’attuale esecutivo sembra essere molto legato anche agli esiti dei processi di Berlusconi. Alcuni sostengono che, in caso di condanna del Cavaliere, il governo sparirebbe in un istante. Altri smentiscono, ma senza troppa convinzione.
Silvio propende per un atteggiamento più mansueto del solito, tipico di quando trama nell’ombra per arrivare alla soluzione ideale. Non è un caso, infatti, che proprio in questi giorni si parla di una sua eventuale nomina a senatore a vita. Un posticino niente male per chi ha dedicato la propria vita alla strenua ricerca dell’immunità, nemmeno fosse il Sacro Graal.
Il Cavaliere si è convinto di poter essere nominato “cittadino che ha illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”, come recita l’articolo 59 della Costituzione. Ora che “si sono liberati due scranni”, Silvio punta alla carica che lo renderebbe politicamente immortale come “l’onorevole” Andreotti.
Luigi Zanda, senatore Pd, che sulle pagine di Avvenire si permette di contestare questa idea, scatena la reazione dei pretoriani di Silvio e, ancor peggio, la solita freddezza da parte del Pd. Dal quartier generale democratico si limitano a etichettare come mero “parere personale” quanto affermato da Zanda. Prendere posizione, ammettendo ciò che appare lapalissiano, è troppo per il partito del nulla. Tanta paura, di fronte alle reazioni di “grandi statisti” come Altero Matteoli, che garantisce l’immediata caduta del governo in caso di un simile affronto.
Per non parlare di Piero Longo, deputato Pdl e legale del Cavaliere, che ripete lo stesso ritornello in caso di interdizione del suo assistito da parte della Cassazione. Pertanto, guai a votare l’ineleggibilità di Berlusconi. Eppure, il ministro Alfano assicura che non ci sarà alcun “fallo di reazione” sulle vicende giudiziarie da parte del Pdl. La strategia è sempre la medesima: dire tutto e il contrario di tutto, approfittando della lacunosa memoria degli italiani.
Un altro esempio della difficoltà del Pd a mantenere in piedi questo governo dalle “finte larghe intese” lo si può notare durante la manifestazione della Fiom a Roma. San Giovanni, piazza storica dei lavoratori, di bandiere rosse e operai che manifestano, orfana del partito che più di tutti dovrebbe esser loro vicino. Tra l’altro, si tratta di una manifestazione per il lavoro, non contro qualcuno in particolare.
Maurizio Landini, forse uno degli ultimi davvero “di sinistra”, afferma di non riuscire a capire come si possa stare al governo con Berlusconi e aver paura di andare in piazza a fianco agli operai. Guglielmo Epifani, neosegretario democratico, risponde piccato che il problema non è tanto stare in piazza, ma ascoltarla per dare risposte. Da un ex sindacalista ci sia aspetterebbero interventi decisamente più concreti. Siamo proprio curiosi di sentirle queste risposte.
(fonte immagine: http://realityshow.blogosfere.it)