Judith Kerr, un ricordo tra le pagine
Tra vissuto personale e fantasia Judith Kerr ci ha lasciato in eredità pagine di storie e colori che rimangono godibili dopo oltre 50 anni
Lettrice onnivora lo sono sempre stata. Trovo che nel perimetrare troppo nettamente i generi di gradimento ci sia un elevato rischio di perdere opportunità. Nel caso dei libri, di perdere interi mondi o intere vite in cui immergersi. Tutti i lettori hanno preferenze, passioni smodate o comfort zone. Ma la mia voglio che sia un piccolo rifugio accogliente non una gabbia.
Mi piace spaziare, dunque. Da quando ho una figlia, inoltre, ho avuto la scusa ufficiale di riscoprire i libri per bambini e per ragazzi (gioco d’anticipo!).
Tra testi in prosa o in rima, tra immagini deliziose e pagine lette e rilette ho conosciuto o riscoperto tanti autori per bambini e ragazzi e personaggi indimenticabili. Tra questi ho amato in particolare una gatta distratta e una tigre un po’ invadente nate dall’immaginazione e dalla matita di un’autrice che ho voluto nel tempo approfondire.
Lei è Judith Kerr.
Purtroppo è mancata un anno fa, il 22 maggio 2019. Aveva 95 anni (quasi 96 considerando che li avrebbe compiuti il 14 giugno) e sono stati in molti a esserne rattristati. Ma la grande fortuna che abbiamo è la produzione molto ampia che ci ha lasciato in eredità.
Ma andiamo con ordine.
Judith Kerr, ancora bambina, vive uno dei momenti più tristi del secolo scorso. Nasce infatti in Germania nel 1923 da una famiglia ebrea. Presto sono costretti a fuggire, conosciamo il triste destino di chi è rimasto. È la stessa Judith Kerr, ormai adulta, a raccontare la storia che la vede fuggitiva e profuga nel romanzo autobiografico Quando Hitler rubò il coniglio Rosa.
La storia inizia a Berlino a poche settimane dalle elezioni che vedranno il trionfo di Hitler.
La protagonista Anna e la sua famiglia sono ebrei. Il padre, uno scrittore e giornalista in vista, è dichiaratamente antinazista. Senza aspettare i risultati ma presagendoli, lasciano Berlino e si rifugiano in Svizzera. È la loro salvezza: dopo le elezioni i nazisti si presenteranno a casa loro per confiscare i passaporti, la casa e i loro beni.
Quella che si spera sia una breve permanenza nel paese elvetico si protrae per mesi. Seguirà un trasferimento a Parigi: nella neutrale Svizzera nessuno vuole pubblicare gli articoli del padre.
A Parigi, in una casa piccolissima e in ristrettezze economiche, la famiglia rimarrà per quasi due anni. Anna e suo fratello Max dovranno ambientarsi in una nuova città e imparare una nuova lingua. La crisi in Francia (l’editore non riesce più a pagare il padre di Anna) li costringe nuovamente a partire per stabilirsi in Inghilterra.
Il romanzo racconta con delicatezza le difficili vicende di una famiglia ebrea durante il nazismo. Racconta la vita dei rifugiati dalla prospettiva di una bambina, un’altra Anna probabilmente in omaggio alla ben più famosa Anna Frank. Racconta come non sia facile sentirsi di appartenere ad un altro luogo, di fare del proprio meglio per riuscirci, di come non sempre ci si riesca. Racconta le preoccupazioni per chi è rimasto in Germania e per gli altri rifugiati.
Il messaggio risulta ben chiaro: l’ingiustizia di un regime dittatoriale che ha ucciso milioni di persone e che ha privato i bambini della loro infanzia. Quel coniglio rosa, che Anna lascia nella sua casa di Berlino e che viene confiscato dai nazisti insieme a tutti i beni della famiglia, è il simbolo dell’infanzia sottratta a tanti bambini.
E il romanzo diventa rappresentazione del vissuto di tutti quei bambini che si trovano loro malgrado a convivere o a fuggire da un regime dittatoriale violento che non ammette dissensi. È la storia di Anna e, con lei, è la storia di tanti, troppi bambini. In ogni epoca e in ogni paese.
Quando Hitler rubò il Coniglio Rosa – scritto nel 1971 e tradotto in Italia nel 1976 da Rizzoli – è il primo volume di una trilogia di cui fanno parte anche La stagione delle bombe (1975) e A Small Person Far Away (quest’ultimo, scritto 1978, non è stato tradotto in Italia).
Anche in questo caso si tratta di romanzi autobiografici che attingono a piene mani dall’esperienza dell’autrice. Ne La stagione delle bombe troviamo una Anna cresciuta: è il 1940, sono passati 7 anni da quando sono fuggiti dalla Germania e vivono la vita dei rifugiati. Si trovano in Inghilterra da 5 anni e gli esiti della guerra sono ancora incerti.
Sono gli anni in cui Anna comincia giovanissima a lavorare per contribuire al sostentamento della famiglia. Anni in cui cercherà di capire se ha o meno talento artistico. Gli anni delle prime cotte e delle prime delusioni. E, soprattutto, gli anni dei lunghi bombardamenti sulla città di Londra.
Si scruta il cielo sperando che il meteo impedisca agli aerei di volare, si ascoltano le sirene e gli allarmi. Le bombe cadono, spesso di notte e nell’oscurità si aspetta che passino sperando di non rimanere intrappolati sotto le macerie. Colpisce l’ineluttabilità dell’immobilismo: non si può fare altro che attendere. Stride e colpisce poi il contrasto con il giorno che inizia dopo ogni notte: la mattina ci si reca al lavoro superando come si può quel che rimane di intere palazzine abbattute. La vita deve andare comunque avanti.
Anni difficili per tutti e soprattutto per chi li ha vissuti da bambino o da ragazzo affrontando in un contesto così complicato la sfida di trovare la propria identità e la propria strada, di crescere.
Il romanzo riesce a trasferire bene i sentimenti di quel periodo. E riporta anche elementi che sui libri di scuola spesso non compaiono. Come la pratica di arrestare preventivamente i rifugiati tedeschi per timore che possano appoggiare l’invasore: era avvenuto durante l’invasione nazista dell’Olanda dove i tedeschi residenti lì da molti anni, e che nessuno sospettava di nazismo, avevano dato man forte all’invasore. E così viene arrestato anche Max, il fratello di Anna. Studente a Cambridge, lui che vorrebbe arruolarsi con l’aviazione inglese per combattere i tedeschi, lui che non si sente più tedesco da molto tempo e che, insieme alla famiglia, ha condannato il nazismo da prima ancora che il resto dell’Europa si rendesse conto di cosa stava accadendo. Emerge il carico emotivo che questo comporta, il senso di non appartenere quando si vorrebbe appartenere.
E poi la preoccupazione nelle chiacchiere tra rifugiati di ogni nazione per chi è restato, per chi è fuggito. I lutti, di tutti.
La fine della guerra dopo tanti anni arriva come una liberazione ma anche come elemento destabilizzante per chi, privato di ogni cosa, ha cercato di trovare una ragione di vita impegnandosi per supportare il paese in quella guerra. E ora che la guerra è volta al termine ci si trova senza chi non è tornato e senza ciò che dava in qualche modo il senso alla perdita.
I romanzi della Kerr sono considerati classicamente libri per ragazzi ma, come ci ricorda anche Katherine Rundell nel suo recente “Perché dovresti leggere libri per ragazzi anche se sei vecchio e saggio”, anche gli adulti dovrebbero leggerli. Da adulta vi ho trovato temi e messaggi importanti. E soprattutto una testimonianza al pari di altri libri “per adulti” che tanti autori ci hanno lasciato in eredità per non dimenticare.
Durante la guerra la Kerr prestò servizio nella Croce Rossa. Dopo la guerra divenne sceneggiatrice per la televisione. Fu così che incontrò suo marito Nigel Kneale, anch’egli sceneggiatore (all’inizio del terzo romanzo troviamo Anna appena sposata con un uomo famoso che lavora in televisione), dal quale ebbe due figli.
I tre romanzi della già citata trilogia ci raccontano molto sia del periodo storico sia anche dell’autrice e di ciò che ha vissuto. Ma ancor più che per questa trilogia Judith Kerr è ricordata e amata per i suoi libri per i bambini più piccoli con particolare riferimento a Una tigre all’ora del tè e la serie della gatta Mog, i due personaggi che citavo al’inizio.
Una tigre all’ora del tè, scritto e illustrato nel 1968, nasce come una storia inventata e raccontata ai suoi figli: un giorno mentre Sophie sta prendendo il tè con la sua mamma bussa alla porta una tigre che si siede a tavola con loro mangiando tutti i biscotti e la torta e bevendo tutto il tè. Svuoterà anche la dispensa e il frigo e alla fine, al ritorno del papà dal lavoro e dopo avergli raccontato il surreale episodio accaduto, decideranno di andare tutti e tre a cena fuori prendendosi a braccetto.
Fortunatamente Judith Kerr ha deciso poi di condividere con tutti questa storia deliziosa che rimane godibile anche a distanza di oltre 50 anni. Così come le avventure della gatta Mog in Mog, la gatta distratta (1970) e gli altri libri della serie su questa amabile gattina.
I disegni della Kerr ci riportano indietro nel tempo come i vecchi film con mestieri per lo più scomparsi almeno nelle grandi città (il garzone di bottega che fa le consegne, l’uomo del latte con il suo furgoncino) e con ambienti domestici d’altri tempi (la gatta che dorme sul cubo del televisore a tubo catodico!).
Insomma, un’autrice da recuperare se avete modo e se amate la letteratura per i giovanissimi.. La sua produzione è molto vasta. In italiano oltre a quelli citati sono disponibili : “Una foca in salotto” una storia di amicizia e di amore verso la vita e verso gli altri (bambini 6+) e “Al parco con mamma“.