Michael Dobbs: costruire un castello di carte

Tempo di lettura 4 minuti

L’autore di House of Cards a Roma svela i retroscena del suo best-seller

di Gloria Frezza

©Gloria Frezza

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Lo scorso 18 novembre, alla libreria Fandango Incontro di Roma, si è tenuto l’attesissimo meet&greet con uno dei personaggi più in voga del momento: Lord Michael Dobbs, autore della trilogia di romanzi House of Cards, dalla quale prende vita l’omonima serie televisiva. Seduto con lui Giancarlo de Cataldo, creatore della serie tutta italiana Romanzo Criminale, gli pone domande (di rito e non) su come ci si senta ad aver dato inizio ad un fenomeno così apprezzato e seguito quale è House of Cards.

Classe ’48, lord Michael Dobbs entra in politica come consigliere di Margaret Tatcher e capo del suo staff. Sul rapporto con la Lady di Ferro non si sbilancia, ma ci racconta che, ventisette anni fa, dopo uno dei loro peggiori contrasti, lasciò Londra in direzione di Malta per una vacanza fuori programma con la moglie. Qui, a bordo piscina, si lamenta del romanzo che sta leggendo e la moglie, stizzita dal suo criticismo, gli intima di occuparsi dunque lui di scriverne uno. Presto detto, accompagnato da una bottiglia di vino ed un block-notes, Michael Dobbs tenta di produrre. Dopo una serata, sul foglio ci sono solo due lettere: F U, che oltre ad essere un consiglio per la moglie, diventano anche le iniziali del suo protagonista: Francis Urquhart per l’Inghilterra, Frank Underwood per la serie americana.

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La serie tv inglese viene girata nel ’90, con un budget inferiore e molto più autoironia, eppure l’interessamento degli americani è legato ad una semplice scena in particolare. Francis ha un ritratto della Tatcher sulla scrivania, lo gira per non vederlo e soggiunge: “nulla dura per sempre”. Due giorni dopo l’episodio, il governo Tatcher cade, Michael Dobbs è ritenuto un oracolo geniale ed il telefono squilla da Hollywood. I produttori non chiedono solo i diritti del libro, vogliono anche l’autore come sceneggiatore: non si può separare una madre dalla sua creatura.

Michael Dobbs si trasferisce in America, dove ormai dominano i cellulari, e realizza una delle più vantaggiose collaborazioni della sua carriera ed una serie completamente nuova e rimaneggiata. La versione americana è più buia, Frank (interpretato da Kevin Spacey) è molto più crudele e senza scrupoli, è assoluto nella sue scelte e non sa reagire al suo debole per il potere, così come non sa smettere di fumare. Claire, sua moglie, finemente approfondita nella serie americana, crea una delle relazioni televisive più concrete che il pubblico abbia intravisto in questi anni: amore, possessività, compromesso, ambizione. Il mondo politico non ha la pacatezza inglese, la cortesia tra avversari politici è dimenticata, è il profitto a guidare le azioni e, senza la morale, tutto diventa più facile.

Dopo l’uscita del libro, molti politici finiscono per sentirsi chiamati in causa a rappresentare Francis/Frank ed alcuni di loro, personalmente conosciuti dall’autore, ricevono l’amara delusione di essere smentiti proprio da lui. Allo stesso presidente Renzi, Mr. Dobbs invia due copie autografate con un biglietto saturo di english humor: “Si ricordi: è un’opera di fantasia, non un manuale di istruzioni!”

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A due uomini di spicco come il presidente Obama ed il presidente Renzi, lord Michael Dobbs ricorda che il politico deve indossare gli stivali chiodati che la signora Tatcher non dimenticava mai. Aggiunge che dare delusioni, dopo aver fatto bellissime promesse, è il modo più semplice per perdere seguito, ma non è il motivo giusto per smettere di farle e di credere di poterle realizzare.

Sentiremo ancora parlare di Frank Underwood? Tutti sembrano concordare sul fatto che non abbia ricevuto la giusta punizione per le sue malefatte. Lord Dobbs sorride sornione: il signor Frank è ormai un lavoro di squadra, in definitiva ha ancora qualcosa da dire, House of Cards non è finito. “Tuttavia – aggiunge – non chiedetemi altro o saprete troppo e poi dovrò uccidervi!

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Una risposta

  1. Federica ha detto:

    Bell’articolo. Ben scritto. E bella storia!

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