Basket, NBA Playoffs: in Eastern Conference è ancora Lebron contro tutti
Prima parte di analisi sulla postseason che comincia sabato sera. Ad Est protagonisti improbabili e una sfida Heat-Pacers tutta sull’orlo dei nervi
di Stefano Brienza
su Twitter @BrienzaStefano
Una potente secchiata d’acqua in faccia dopo essersi addormentati sul lettino per due ore, in una di quelle giornate in cui magari il termometro non arriva a 40, ma la secchezza della pelle raggiunge livelli di guardia.
Il primo vento della primavera, quello che porta un brivido sotto la camicia ma sa di calore e profumi floreali, accogliente, equilibrato come un semifreddo alla gianduia.
Scendere dalla macchina, appiccicati sui propri vestiti e sui sedili, dopo un viaggio di 300-400 chilometri, cinque persone più i bagagli in un’utilitaria, guardare in alto e rendersi conto che si è arrivati in montagna, tirare un lunghissimo respiro e far defluire nei polmoni un’aria nuova, libera.
Per descrivere cosa significhi l’avvento dei playoff NBA dopo una regular season del genere bisogna necessariamente diventare evocativi: gli aggettivi non hanno modo di essere sufficienti. È stata una stagione ricca di grosse prestazioni e di stravolgimenti, la stagione dell’insediamento di Adam Silver e dell’esplosione delle statistiche avanzate anche fra i meno tecnici, la stagione dei sessantelli e, nell’universo parallelo a quello della lotta playoff, della corsa pazza al record più basso in ottica del mitologico Draft 2014.
Sabato sera, all’orario decisamente Europe-friendly delle 18.30 italiane (gara1 Toronto-Brooklyn), scatta la caccia al titolo. Gli Heat cercano la quarta finale consecutiva, come non capita dai tempi di Magic e Larry, e soprattutto il three-peat. A contendere a King Lebron il terzo anello, a mo di “stessa storia, stesso posto, stesso bar”, le contender sono rimaste quelle schiaffeggiate da Miami durante la scorsa tarda primavera.
È corsa a due ad Est, dove i Pacers sembravano l’antidoto perfetto al dominio miamino, ma hanno vissuto mesi da incubo e sono diventati un oggetto tutto da valutare nelle prossime settimane, insieme ai Nets che potrebbero far soffrire tutti. Ad Ovest la finalista sembra destinata ad uscire ancora una volta dalla sfida Spurs-Thunder, ma le nuove corazzate – Clippers e Rockets – sono outsider con sincere e non impossibili velleità di vittoria.
Come da tradizione di Ghigliottina, precedenza alla Conference dei campioni in carica: ecco la preview del primo turno della Eastern Conference, nel dettaglio di ogni serie.
Indiana Pacers (1, 56-26) vs Atlanta Hawks (8, 38-44)
Gli Indiana Pacers erano la big thing del 2013/14, prima che qualcosa scalfisse gli ingranaggi di un collettivo a prima vista perfetto: solido, motivato, versatile. Paul George correva per l’MVP, Hibbert per il DPOY, Stephenson per l’MIP, Vogel per il COY, le 60 vittorie sarebbero state una formalità e l’anno scorso era mancata solo una gara per scioccare gli Heat. Poi il giro che ha portato Evan Turner al posto di Danny Granger ha creato uno di quegli effetti domino imponderabili dello sport, che dipendono probabilmente da invidie e debolezze dei singoli, germi maligni che covano in aree non controllabili del cervello. Dal vociferato protagonismo di George (colpito anche da scandali difficilmente gestibili fuori dal campo) alla depressione cosmica di un Roy Hibbert vergognoso nell’ultimo periodo, al carattere indomabile di Lance Stephenson, vale a dire Ron Artest 2.0. Uno che ti può mettere a ferro e fuoco intere serie di playoff con energia, fantasia e difesa, ma che fuori dal campo rischia di mandare tutto all’aria. Il primo turno sarà comunque una formalità contro gli Hawks, che a un certo punto della stagione, già senza Horford (out for the season) e con l’idea di crescere dopo la partenza di Josh Smith, si sono guardati indietro e si sono accorti che avrebbero fatto i playoff con un record ampiamente negativo, senza minimamente farlo apposta. Magie dell’Est. I Pacers hanno mostrato segnali di ripresa dopo tre mesi di 2014 disastrosi, ma per passare oltre le frizioni di spogliatoio non basta un grande allenatore, serve un super allenatore. È successo, può succedere, ma la sensazione è che il treno sia già passato.
Chicago Bulls (4, 48-34) vs Washington Wizards (5, 44-38)
Due parole: Joakim Noah. La sfortuna ha tolto dalle nostre grazie la possibilità di ammirare un generation changer come Rose al massimo del suo splendore, ma la fabbrica magica di Thibodeau ci ha regalato un nuovo volto per i rognosissimi Bulls, quello di un difensore eccezionale capace di elettrizzare il pubblico come non si vedeva dai tempi dell’afro di Ben Wallace. Condurrà Chicago all’ennesima postseason di imprese e rimpianti, che inizierà con la sfida a dei novellini assoluti, i Wizards di John Wall, che – zitti zitti – hanno approfittato delle magie dell’Est di cui sopra per mettere insieme la stagione più vincente dai tempi di Arenas-Jamison-Butler (20014/05, 45-37 e secondo turno sulle ali di Agent Zero). La carretta la trainano due esordienti che ritroveremo tante volte su questi schermi, Wall e Beal, rispettivamente classe ’90 e ’93, le due guardie titolari che cercheranno di creare grattacapi all’organizzazione di Thibodeau. Sotto canestro si prospetta una discreta battaglia con protagonisti i vari Noah, Gortat, Nene, Boozer, Gibson, tutti veterani dai gomiti spigolosi. Serie a basso punteggio, con un chiaro favorito perché l’esperienza non si compra un tanto al chilo (si potrebbe persino confutare che Chicago si sia scelta gli avversari del primo e secondo turno, arrivando quarta e non terza), ma anche tanta curiosità.
Toronto Raptors (3, 48-34) vs Brooklyn Nets (6, 44-38)
A proposito di scegliersi gli avversari, ecco i campioni della categoria, quei vecchi volponi dei Brooklyn Nets. Una bella sconfitta di 29 contro i Cavaliers nella scorsa notte, quando coach Jason Kidd ha fatto riposare tutti i titolari, posiziona i Nets dove avrebbero voluto stare. Per gente come Pierce e Garnett è meglio affrontare gli Heat il prima possibile, e non solo per via del fisico, ma anche perché in stagione i bianconeri hanno sweepato la squadra di Spoelstra 4 a 0 con quattro partite tiratissime, e solitamente Miami non è mai al massimo della brillantezza prima delle Conference Finals. Sarà un playoff tutto sul filo della tensione quello di Brooklyn, squadra costruita ad hoc per la primavera, che ha trovato feeling interno solo dal momento in cui il centrone Brook Lopez (che contro gli Heat avrebbe potuto far la differenza) si è dovuto sedere per il resto della stagione con un piedone rotto, liberando un basket più veloce e basato sui pick’n’roll coinvolgenti Deron Williams e Joe Johnson. Ah, ci sono anche i Raptors! Ebbene sì, al terzo posto della Conference e con il miglior record della propria storia (!), i dinosauri di Dwane Casey cercano le semifinali per la prima volta dal 2001. Guidata da un favoloso Kyle Lowry e da un Derozan sempre più diligente ed efficace, Toronto può puntare sul fattore campo e su un entusiasmo che non mancherà, dopo cinque anni fuori dai playoff. In questa serie, però, il favorito è l’outsider.
Miami Heat (2, 54-28) vs Charlotte Bobcats (7, 43-39)
Mettiamola così: ci sono riuscite tre squadre. I Celtics di Bill Russell, i Lakers di Magic & Kareem, i Celtics di Bird. Non sarebbe una compagnia malvagia quella a cui aderirebbero i Miami Heat dei Big-Three-diventati-Big-One in caso di quarta finale consecutiva, ma per avere una durabilità del genere, la discriminante è avere un controllo mentale totale su se stessi e su tutti gli agenti esterni. La fame non manca agli Heat, Lebron è sempre Lebron anche se non vincerà l’MVP (citofonare Kevin Durant), ma i problemi fisici di Wade e tecnici di Bosh costringeranno sia il numero 6 che coach Spoelstra ad un lavoro infernale per tenere duro fino a giugno. La scalata inizia contro i Bobcats, squadra che peraltro potrebbe mettere tatticamente in serie difficoltà Miami con i punti da post basso del nuovo uomo-franchigia Al Jefferson. Con il suo arrivo Charlotte è passata da 21 a 42 W, e là sotto potrebbe far davvero male ad una squadra che storicamente soffre terribilmente centri anche meno decisivi (vedi lo stesso Hibbert). Poi le gambe di Kemba Walker, a battere sull’altro punto debole storico dei rossoneri, la difesa sui play. Attenzione, perché gli improbabili Bobcats hanno le armi per portarne via un paio: per il resto, tutto riscaldamento in vista di sfide più probanti, iniziando ad analizzare tenuta e rendimento di Wade, la variabile forse più importante in assoluto per l’anello 2013/14.
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