Donne, mamme e lavoratrici: un miraggio all’italiana
Una ricerca della Sapienza Università di Roma sfata il pregiudizio secondo il quale le donne in gravidanza peggiorano le proprie prestazioni lavorative: il 90% degli intervistati pensa che non ci sia un calo della produttività. Secondo i dati, però, il 49% delle donne interpellate ritiene inconciliabili figli e “carriera”
di Guglielmo Sano
Vari dipartimenti dell’Università La Sapienza, quello di Diritto ed Economia delle Attività Produttive, Ginecologia e Ostetricia e quello di Management, stanno conducendo un’indagine che agli inizi di Novembre è stata presentata al CNR col nome “Donne, salute, lavoro”, su un campione di quasi 4000 persone (gli intervistati al momento sono 700) per comprendere le implicazioni, i risvolti della maternità in ambito lavorativo, cercando di raccogliere le impressioni e i convincimenti delle mamme-lavoratrici ma anche dei loro capi e colleghi.
Diverse le domande alle quali si tenta di rispondere: qual è la percezione del rapporto tra produttività e maternità? È possibile conciliare il lavoro e le possibilità di carriera con l’essere mamma? Le donne in gravidanza sono a “rischio discriminazione”? Le mamme come vivono la loro vita in azienda? Le misure legislative sono adeguate? Come si comportano le aziende?
Il campione è formato per il 46% da donne, di cui il 78% con figli, e per il 54% da uomini, l’81% dei quali con figli, quasi il 95% degli intervistati ha un’età compresa tra i 35 e i 55 anni. Dai dati finora raccolti emerge che: il 90% degli intervistati ritiene che la gravidanza non metta in pericolo la produttività e l’efficacia delle donne sul lavoro, solo il 16% pensa che, invece, sia un problema. L’87% dichiara di non aver riscontrato, nella propria personale esperienza, un calo delle prestazioni lavorative delle colleghe che avevano scelto di diventare mamme.
Da una parte sembra che il “lieto evento” sia accolto favorevolmente in azienda: l’87,5% delle donne intervistate dichiara di aver comunicato quasi subito la notizia a superiori e colleghi, che nel 55% dei casi hanno reagito favorevolmente, dall’altra il 78% degli intervistati ritiene che la maternità sia un ostacolo alle opportunità di carriera, mentre il 49% pensa che la maternità sia inconciliabile con un contesto lavorativo altamente competitivo.
Donatella Caserta, Professore Ordinario di Ginecologia e Ostetricia alla Sapienza e presidente del Congresso, ha dichiarato: “in Italia la gravidanza in età avanzata (il 35% delle donne partorisce dopo i 35 anni) non è dovuta solo a ragioni meramente economiche (il 99,2% del campione è assunto a tempo indeterminato) ma piuttosto è dovuta alla paura, da parte della donna, di essere tagliata fuori dalle possibilità di progressione nella carriera, di avanzamento economico, di essere relegata nell’anello debole della catena produttiva al suo rientro”.
Anche se l’occupazione femminile in Italia è aumentata del 22,2% negli ultimi anni, mentre quella maschile è scesa dello 0,3%, i dati che riguardano le mamme e il lavoro non sono per niente confortanti. Secondo l’Istat la percentuale delle donne ancora occupate dopo il primo figlio non supera il 59%, lo stesso dato in Spagna si attesta al 63% senza parlare di Germania e Svezia nelle quali la percentuale corrisponde rispettivamente al 74% e all’81%.
Secondo Flaviano Moscarini, docente di Economia aziendale alla Sapienza: “le aziende sono sempre più a “trazione rosa”, ma a un avanzamento del ruolo femminile soprattutto nelle grandi organizzazioni produttive non corrisponde un adeguato riconoscimento della diversità biologica (che culmina nel momento della gravidanza) in ambito professionale”
“A titolo esemplificativo – aggiunge sempre Moscarini – il 76% dei primi intervistati, ritiene che le aziende, al di là degli obblighi legislativi, dovrebbero essere maggiormente orientate nel provvedere speciali benefici o regimi a favore delle dipendenti in gravidanza, mentre oltre il 94% pensa che un’azienda dovrebbe investire nella promozione di una cultura della maternità. Le aziende devono fornire adeguate politiche di genere, oggi, per conseguire importanti vantaggi competitivi, domani.”
Secondo i ricercatori merita importante attenzione da parte del legislatore la percezione che le lavoratrici in gravidanza hanno delle misure a loro tutela: il 63% delle donne ritiene poco o per niente adeguato il periodo di congedo della maternità di 5 mesi previsto dalla legge italiana, così come il 73% ritiene inadeguata la previsione di 1 giorno di congedo obbligatorio e 2 facoltativi per i padri.
Per Maurizio Gatti, Professore Ordinario di Organizzazione Aziendale sempre alla Sapienza: “occorre passare da una cultura diffusa, che considera la gravidanza come fonte di potenziali conflittualità, ad una cultura realmente improntata al sostegno della gravidanza e della maternità in azienda, ciò consentirebbe alla donna di essere pienamente valorizzata e all’impresa di sfruttare appieno il patrimonio di competenze che le donne sono in grado di esprimere”.
Inoltre Gatti aggiunge: “la costruzione di un contesto organizzativo basato sulla fiducia facilita ed alimenta un dialogo continuo tra la donna e i vertici aziendali, consentendo di poter gestire in anticipo eventuali problemi lavorativi che la maternità potrebbe comportare. Per esempio non possiamo trascurare il fatto che il 49% delle donne intervistate abbia riferito di non essere stata coinvolta dai propri superiori nelle decisioni riguardanti la sua posizione in azienda e l’organizzazione del suo lavoro per il periodo della sua assenza. Il rischio è che ad una iniziale serenità nell’affrontare e comunicare la notizia della gravidanza, subentrino timori e frustrazioni provocate dall’incertezza del proprio ruolo professionale al rientro in azienda”.