Carceri: il rapporto Antigone sulle condizioni di detenzione in Italia
“Un anno in carcere”, il XIV rapporto dell’associazione Antigone, fotografa una realtà fatta di sovraffollamento, recidive, suicidi e necessità dell’approvazione di una riforma penitenziaria
Mentre la riforma dell’ordinamento penitenziario (legge n. 103/2017) è ferma in Parlamento, l’Associazione Antigone, che da oltre 20 anni monitora la situazione dei 190 istituti di pena italiani, delinea nel XIV rapporto “Un anno in carcere“ le condizioni di detenzione. Nella conferenza stampa, tenutasi a Roma lo scorso 19 aprile, il Presidente dell’associazione Patrizio Gonnella e la coordinatrice nazionale Susanna Marietti vanno dritti al punto. Analizzando dati e fornendo numeri di un’indagine lunga un anno.
L’analisi parte dall’osservazione di 86 istituti su tutto il territorio nazionale. Da quello più grande di Poggioreale, con 2200 detenuti, a quello più piccolo di Arezzo, con circa 30 presenze. I detenuti censiti al 31 marzo sono stati 58.223, di questi 19.811 sono stranieri. Un numero fortemente in calo rispetto agli anni precedenti ( 2mila detenuti stranieri in meno rispetto al 2008). Al 31 dicembre 2017, infatti, le presenze erano 57.608. Un aumento, in soli tre mesi, di 600 unità.
I dati parlano anche di una diminuzione di reati, certo! Ma anche di un aumento degli ingressi. Numeri che di conseguenza portano a un altro grande tema di discussione: il problema del sovraffollamento. Secondo Antigone “Il sovraffollamento è tornato, ed anzi in alcuni istituti non è mai andato via. Gli istituti più sovraffollati che abbiamo visto sono stati probabilmente Como, nel profondo nord, che oggi ha un tasso di affollamento del 200%, e Taranto al sud, con un percentuale che supera il 190%. In entrambi, la situazione è preoccupante. In celle di 9 mq scarsi, infatti, ci sono 3 detenuti”.
Dei circa 58 mila detenuti presenti negli istituti di pena il 37% non ha alle spalle precedenti carcerazioni. Sette mila sono, invece, i detenuti abituali già passati per le carceri italiane più di 5 volte. Dall’analisi del rapporto risulta, quindi, che il 39% delle persone uscite dai vari penitenziari vi ha fatto ritorno una o più volte negli ultimi dieci anni. Percentuali, che fanno comprendere quanto questo tipo di detenzione non basti a frenare la recidiva.
Il dato che, però, preoccupa maggiormente e allarma anche di più, se possibile, è l’alto tasso di suicidi. Undici nei primi tre mesi del 2018, 52 nel 2017 (sette in più rispetto al 2016). Il tasso è, pertanto, salito dall’8,3% del 2008 (anno di entrata in vigore della riforma della sanità penitenziaria) al 9,1% del 2017. I tentativi di suicidio, nel corso del 2017, sono stati 1.135. Mentre gli atti di autolesionismo sono stati 9.510.
Analizzando la spesa del “sistema carcere” il budget preventivo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per l’anno 2018 è di 2.881.004.859 euro. In soldoni, ogni detenuto costa ai contribuenti 137,02 euro al giorno. Con l’80% del budget destinato a spese per il personale civile e di polizia penitenziaria.
Nonostante queste cifre nelle 86 carceri visitate esiste, in media, un educatore ogni 76 detenuti e un agente ogni 1,7 detenuti. Nel 43% dei penitenziari, inoltre, non ci sono corsi di formazione professionale attivi e solo un detenuto su cinque va a scuola in carcere.
Il dossier evidenzia, attraverso i suoi dati, quanta lunga sia la strada da percorrere per parlare di un “buon carcere” finalizzato alla rieducazione e al giusto reinserimento nella società. Antigone spiega, infatti, che: “Tra le innovazioni che più riteniamo significative, ci sono l’equiparazione ai fini del trattamento medico e giuridico della malattia psichica a quella fisica, il miglioramento e la modernizzazione di alcuni aspetti della vita interna, il richiamo alle regole penitenziarie europee, l’allargamento delle misure alternative, di gran lunga meno costose del carcere e più capaci di ridurre la recidiva e garantire la sicurezza della società”.
Fondamentale, a tal fine, è la riforma dell’ordinamento penitenziario per elevare il modello di società e per il rispetto dei diritti delle persone detenute.
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