COP 23: la strada per salvare il clima è ancora lunga

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Qualche buona notizia alla COP 23, la Conferenza ONU sul Clima, ma rimane ancora tanto da fare. E il tempo stringe inesorabilmente
Manifestazione a Bonn (Germania) all'inizio della COP 23, la Conferenza ONU sui cambiamenti climatici del 2017. (fonte immagine: Spielvogel/Wikimedia Commons)

Manifestazione a Bonn (Germania) all’inizio della COP 23, la Conferenza ONU sui cambiamenti climatici del 2017. (fonte immagine: Spielvogel/Wikimedia Commons)

Nella lista dei temi che generano dibattiti (e polemiche) appassionati, è compreso certamente il riscaldamento globale o, più specificamente, il cambiamento climatico.

Il fatto che ci siano ancora discussioni a riguardo dovrebbe causare sorpresa, dato che la scienza è sempre più unanime nel dire che l’umanità avrà grossi problemi a mantenere il suo attuale stile di vita già nei prossimi decenni – e che la dimensione di questa sfida diventerà tanto più grande quanto si ritarderanno le misure effettive per combatterla.

Ma, in un momento in cui anche la forma sferica della Terra sembra meritare discussione, non è assurdo immaginare che concetti scientifici un po’ più ampi vengano ignorati in nome del senso comune (o della convenienza economica).

Sembrano altrettanto controverse, a loro volta, le strategie per combattere il problema, anche tra coloro che ne riconoscono la serietà. Così succede alle Conferenze delle parti Onu sul Clima, le cosiddette COP, che si tengono ogni anno e in cui, nel 2015, è stato firmato l’Accordo di Parigi.

Insufficiente per alcuni, e grande vittoria per altri, non si può negare che l’Accordo sia stato una pietra miliare della diplomazia internazionale, dopo decenni di discussioni e a volte addirittura indifferenza da parte di alcuni Paesi. Tuttavia la comunità scientifica afferma che gli impegni firmati dovrebbero essere solo un punto di partenza: secondo i dati delle Nazioni Unite, anche se i 195 Paesi partecipanti riuscissero ad onorare il 100% dei loro impegni, si sarebbe comunque solo ad un terzo del necessario per poter combattere i cambiamenti climatici. E il tempo per cambiare rotta diminuisce sempre più.

Uno degli obiettivi della più recente Conferenza, tenutasi a Bonn (Germania) lo scorso novembre (COP 23), era di negoziare procedure pratiche per affrontare questa situazione. In due settimane i paesi avrebbero dovuto determinare chiaramente i loro impegni di riduzione delle emissioni. Erano inoltre in discussione gli investimenti finanziari da destinare ad azioni di mitigazione e adattamento – urgenze particolarmente evidenziate dai Paesi insulari e in via di sviluppo, che saranno maggiormente colpiti dal cambiamento climatico nel futuro prossimo.

Come si poteva immaginare, questa è stata una delle questioni più delicate della Conferenza, e uno dei motivi per i quali la stesura del testo finale del documento strategico è stato rimandato alla prossima COP, che si terrà nel 2018 in nella città di Katowice, un’area geografica polacca strategica per la produzione di carbone.

Non solo fallimenti
Nonostante l’atmosfera di delusione, si può dire che la COP23 abbia portato progressi in altri importanti campi. La principale novità, forse, deriva da un processo che va avanti da anni fuori dalle mura degli eventi ufficiali, e che comincia finalmente a farsi sentire internamente dai delegati: la mobilitazione della società civile, e in particolare, delle “minoranze” che giocano un ruolo fondamentale nella resistenza delle popolazioni ai disastri ambientali.

Esempi importanti sono l’avvio della Piattaforma delle Comunità dei Popoli Indigeni e Locali e la presentazione del Gender Action Plan – entrambe volte a dare voce e opportunità formative a gruppi sociali che possono avere un forte impatto sul benessere e la stabilità delle comunità.

Nel campo dei negoziati stessi, l’accordo sul periodo pre-2020, ossia la seconda fase del Protocollo di Kyoto, ha meritato attenzione con nuovi paesi impegnatisi per la sua ratifica. Anche la partenza, a gennaio prossimo, del processo negoziale detto “dialogo Talanoa” (parola tradizionale dell’arcipelago delle Fiji, che ha presieduto la COP 23), dovrà fare il punto sulle proposte già fatte, specialmente riguardo le quote di emissioni a livello nazionale (INDC). Il dialogo si svilupperà attorno a tre temi: dove siamo; dove vogliamo arrivare; e come arrivarci.

Prima della COP 24 si svolgeranno altri incontri tra i paesi per definire tutte quelle questioni non principali, che tuttavia costituiscono il grande mosaico di azioni necessarie per salvare il pianeta. Anche gli “ospiti” di queste riunioni sono cambiati. La Siria, prima unico paese non aderente all’Accordo di Parigi, ha annunciato la propria adesione durante questa COP. Nel frattempo gli Stati Uniti hanno fatto il percorso inverso, trovandosi essi stessi ad essere ora l’unica nazione fuori dai negoziati.

L’aspetto ironico è che proprio gli Stati Uniti hanno avuto, durante l’amministrazione Obama, un ruolo determinante nel successo dell’Accordo del 2015 – e, si può dire, anche nel rallentamento delle conclusioni di questa COP 2017. Questo cambio di passo degli USA ci darà da parlare ancora a lungo.

Juliana Santos

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