Gasdotto sì, gasdotto no: il Salento e l’affaire TAP
Un gasdotto che partirà dall’Azerbaigian per arrivare fino in Italia, in provincia di Lecce. Da una parte i promotori della Trans Adriatic Pipeline, che parlano di un progetto di importanza strategica per il nostro Paese e per l’Europa, dall’altra sindaci salentini e Comitato No TAP, che vedono nella realizzazione di quest’imponente opera un danno a 360 gradi. Intervista a Elena Gerebizza dell’associazione Re:Common
di Graziano Rossi
su Twitter @grazianorossi
Il Ministero dell’Ambiente ha inviato alla Prefettura di Lecce l’ok al proseguimento dei lavori della Trans Adriatic Pipeline e il Consiglio di Stato ha respinto i ricorsi di Regione Puglia e Comune di Melendugno. Cosa dobbiamo aspettarci? In questi giorni di tensione stanno anche avvenendo anche scontri tra manifestanti e forze dell’ordine.
Il comitato No TAP, gli abitanti di Melendugno e dei paesi vicini, il sindaco di Melendugno e la sua commissione di esperti, e i sindaci del Salento sono parte di questa resistenza pacifica all’avvio degli espianti delle prime 211 piante di ulivo, che riceve solidarietà da molte altre realtà italiane e non. Contestano questo progetto di gasdotto dal 2012, e lo fanno carte alla mano, sulla base di problemi reali riscontrati nel corso della valutazione di impatto ambientale. Ad oggi, la società promotrice del progetto, il consorzio TAP, sta cercando di iniziare l’eradicazione degli ulivi senza avere i permessi per la zona di stoccaggio, e con una parte del progetto – il contestato microtunnel – riprogettato da poco, e su cui il Ministero dell’Ambiente potrebbe decidere di riaprire la VIA. Come ho scritto sul sito dell’associazione Re:Common, pensiamo che questa grande opera sia inutile e dannosa, e che quindi non abbia senso alcuno iniziare a segnare in maniera definitiva un territorio senza neanche avere la certezza che il progetto proceda nella sua costruzione.
Ne “L’alleato azero” (Round Robin editrice, 2015), graphic novel presentato da Ghigliottina qualche settimana fa a Roma, viene trattata anche la questione del gasdotto che dall’Azerbaigian arriverà in
Italia. Se e quando i lavori avranno termine, che impatto avrebbe sul nostro Paese la TAP?
Un impatto enorme, da diversi punti di vista. In primo luogo, rischierebbe di essere l’ennesimo elefante bianco sulle spalle delle casse pubbliche (e di tutti noi). Il consorzio TAP e i suoi principali azionisti (tra cui il governo dell’Azerbaigian, la Snam e l’inglese BP) puntano ad avere almeno un terzo dei finanziamenti da istituzioni pubbliche. Il progetto poteva avere senso, agli occhi della Commissione europea, se questa fosse riuscita a strappare un accordo vincolante al Turkmenistan per arrivare con il gasdotto fino all’altra sponda del Mar Caspio, e accedere così ai mega giacimenti turkmeni. Così non è stato, il Turkmenistan ha preferito scegliere la via dell’est e costruire un altro gasdotto, il TAPI.
Nel frattempo fonti diverse e affidabili dicono che le riserve di gas dell’Azerbaigian non sarebbero così cospicue, anzi. Per cui il rischio di trovarci a breve con un gasdotto costruito, ma senza gas da trasportare, è un rischio reale. A patto che il gas non lo fornisca la Russia, come dicono i nuovi accordi firmati da Grecia e Turchia con Gazprom. E a quel punto costruirlo sarebbe strategico per chi?! Se vogliamo aggiungere a questo che le stime sui consumi di gas in Europa sono in calo dal 2009, e che la stessa Commissione europea ha rivisto al ribasso le proprie stime per i prossimi anni, allora le domande aumentano ancora. Oltre a questo, il territorio salentino verrebbe segnato in maniera permanente da un progetto che è di sviluppo industriale, e che stravolgerebbe il sistema economico e produttivo locale, che trova il suo punto di forza proprio in quell’ambiente naturale e agricolo che gli abitanti proteggono con i loro corpi.
Il gasdotto, come dice il Comitato No Tap, è davvero un “progetto scellerato”? Quali alternative, se ci sono, potrebbero essere studiate?
La domanda vera sarebbe: alternative per chi? Il Salento ha già sviluppato le proprie alternative energetiche, con una concentrazione di progetti di energia rinnovabile al di sopra della media italiana (e per altro anche oggetto di speculazione in passato). L’Italia stessa non avrebbe bisogno di questo progetto, e a nostro avviso nemmeno l’Europa. Forse parlando di alternative dovremmo mettere in discussione l’intero sistema basato sui combustibili fossili, e ragionare in termini di bisogni reali dei territori, e per servire quale modello produttivo. In altre parole, energia per chi e per fare cosa? E controllata da chi?
NOTA
Ghigliottina crede fermamente nella pluralità dell’informazione. Per questo motivo abbiamo inviato alcune domande all’ufficio stampa del progetto TAP per supportare i lettori della nostra testata online a comprendere meglio la delicata questione.