“Genius”, o dell’arte di vivere attraverso e oltre la letteratura
Un film sull’arte ma soprattutto sulla vita, diretto da Michael Grandage e interpretato da Colin Firth, Jude Law, Nicole Kidman e Laura Linney
di Alessandra Giannitelli
su Twitter @Alessandrag_83
Il significato di essere vivi. Oltre la letteratura, oltre il genio poetico, oltre la vita con i propri personaggi. Dentro le relazioni umane che muovono tutta la letteratura che ci ritroviamo a sfogliare a distanza di anni.
Si potrebbe riassumere così “Genius”, film presentato all’ultimo Festival di Berlino e uscito nelle sale italiane dopo la presentazione del 20 ottobre all’11ª Festa del Cinema di Roma. Eppure “Genius” è ancora più di questo, è uno spaccato della storia letteraria americana, del ruolo della letteratura nella società dei primi del ‘900, del contributo di un ruolo di fatto artistico ma ancora oggi ambivalente – quale è quello dell’editor – nella riuscita di grandi opere letterarie.
Nella fattispecie, l’opera letteraria è quella di Thomas Wolfe (Jude Law) e l’estro artistico in grado di portarla al successo appartiene a Maxwell Perkins (Colin Firth), – talentuoso editor della storica Charles Scribner’s Sons di New York – che per primo, dopo numerosi rifiuti da parte dei migliori editori d’America, accetta la sfida di pubblicare l’opera prima dell’estroso scrittore.
L’America è quella a cavallo tra gli anni Venti e i Trenta, quella di un Francis Scott Fitzgerald (Guy Pearce) sul baratro della crisi personale e letteraria, alle prese con la malattia di Zelda (Vanessa Kirby), e di un Ernest Hemingway (Dominic West) che ha appena pubblicato “Addio alle armi”.
Basato sulla biografia di Andrew Scott Berg, “Max Perkins: Editor of Genius” (1978; Elliot 2013), il film diretto da Michael Grandage su iniziativa e sceneggiatura di John Logan tenta di riportare alla luce una figura letteraria d’avanguardia relegata nel dimenticatoio, quale è Thomas Wolfe, e di sottolineare il rapporto di complicità – ma anche di amore e odio – che lo ha legato umanamente e artisticamente a Maxwell Perkins.
Nessuno meglio di Perkins – in grado di individuare il genio in giovani autori altrove rifiutati e che per primo intuì il valore letterario di opere come “Di qua dal paradiso” (1920), “Il grande Gatsby” (1925) e “Fiesta” (1926) quando ancora portavano il titolo di “The Romantic Egotist”, “Trimalcione” e “The Sun Rises Again” – poteva calarsi fino in fondo nell’essenza della scrittura autobiografica e prolifica di Thomas Wolfe.
Il legame che nasce dal primo incontro nell’ufficio della Charles Scribner’s Sons – colosso editoriale dell’epoca – va però ben oltre la semplice opera di editing del primo romanzo di Wolfe, “O Lost”: oltre a lavorare insieme sui primi due romanzi di Wolfe – “Angelo, guarda il passato” e “Il fiume e il tempo” – i due costruirono, pagina dopo pagina, la trama di un’amicizia speciale, simbiotica.
Così diversi eppure così uniti: Wolfe è caotico, assetato di vita e di avventure, vuole emergere a tutti i costi; Perkins, dal portamento discreto e deciso, fa sentire la propria voce esclusivamente attraverso i libri che decide di curare, scegliendo di rimanere all’ombra della sua scrivania.
Un rapporto talmente stretto da suscitare la gelosia della moglie di Maxwell – Louise Saunders (Laura Linney), a sua volta scrittrice, che per costruire una famiglia con Maxwell rinuncia alle proprie aspirazioni artistiche – e della compagna di Thomas – Aline Bernstein (Nicole Kidman), nota costumista teatrale.
Dal manoscritto di 1.100 pagine intitolato “O Last”, composto da periodi talmente lunghi da ricoprire intere pagine, Perkins riesce a cogliere tutta la genialità di Wolfe e si offre di portare la sua opera alla pubblicazione a patto di rivedere, pagina dopo pagina, il fiume di parole nel quale il senso rischia di perdersi e di non arrivare al grande pubblico.
Quattro anni più tardi, nel 1933, Wolfe si presenta in casa editrice con una nuova creazione letteraria: diverse migliaia di pagine ispirate alla “Recherche” di Marcel Proust e incentrate sulla giovinezza e sul legame che riporta ogni uomo alle proprie origini. Dopo due anni di serrato lavoro di sfoltimento e di riscrittura di interi passaggi, l’opera verrà pubblicata con il titolo “Il fiume e il tempo” e Wolfe sceglierà di dedicarlo dichiaratamente, nero su bianco, al genio letterario e umano di Perkins:
Questo libro è dedicato a Maxwell Evart Perkins.
Un uomo onesto e coraggioso, che è rimasto al fianco dello
scrittore di questo libro anche nei momenti di profondo sconforto.
L’autore si augura che questo libro si dimostrerà all’altezza delle sue aspettative
Chi dei due, dunque, era il “genio”? Cosa si crea e cosa invece si distrugge per sempre, nel complesso rapporto tra un editor e uno scrittore, tra un uomo dedito alla famiglia e ai rapporti umani e un ragazzo che vuole vivere al massimo ogni emozione, spesso trascurando di vivere realmente e di curare i rapporti umani?
“Lo sto rendendo migliore o diverso?” si chiede Perkins nella scena che vede Wolfe entusiasta del loro lavoro e riconoscente per la fiducia che il suo amico ripone in lui e nelle sue parole.
Di lì a qualche anno, vittima del suo stesso successo e in lotta con Perkins, dal quale inizia a sentirsi artisticamente limitato, Wolfe lascerà la Scribner e passerà all’Harper & Brothers, proseguendo per la sua strada fatta di estremismi e di scritture folli. Ma quel legame speciale tra due uomini così in sintonia, prima ancora che tra le loro menti creative, può davvero dirsi concluso in concomitanza con la cessazione di un contratto editoriale?