A bordo di “Priscilla la regina del deserto” per un viaggio oltre le apparenze
Al Teatro Brancaccio di Roma torna “Priscilla la regina del deserto”, uno dei musical campione d’incassi mondiale. Tra piume, trucchi e abiti sgargianti lo spettacolo ci ricorda come combattere ogni giorno il pregiudizio
Recensire in poche righe la straordinaria avventura delle due drag queen Mitzi / Tick (Cristian Ruiz) e Felicia / Adam (Andrea Rossi) insieme alla transessuale Bernadette (Marco D’Alberti) è pressoché impossibile.
Come si può descrivere a parole un caleidoscopio di colori, melodie travolgenti e battute irriverenti? Tutto questo e molto di più è “Priscilla la Regina del Deserto“, grandissimo successo degli scorsi anni tornato nuovamente sul palco del Teatro Brancaccio a Roma.
A bordo dello sgangherato pulmino rosa shocking (perché mantenere l’anonimato non è prerogativa dei nostri protagonisti) il trio è diretto da Sidney ad Alice Springs. Nel mezzo ci sono chilometri macinati nel poco ospitale deserto australiano, pit stop in improbabili e ruspanti villaggi abitati da personaggi ancora più folcloristici delle nostre novelle viaggiatrici on the road e una scia di lustrini e paillettes gettate al vento insieme alle note di canzoni che hanno fatto la storia della disco dance e del pop anni ’70 e ’80.
Lo spettacolo colpisce irrimediabilmente su due livelli emotivi molto diversi tra loro. Il primo è chiaramente quello positivo legato al senso di libertà, gioventù spensierata e divertimento che certe canzoni riescono ancora ad oggi a suscitare. Aiutati dal trio delle “divas” (cantanti eccelse) le tre eroine regalano delle interpretazioni di grandi pezzi quali “Hot Stuff”, “Girls just wanna have fun”, “A fine romance”, “I say a little prayer” o “Don’t leave me this way”, capaci di obbligare il pubblico a rimanere letteralmente incollati alla sedia onde evitare balletti improvvisati e falsetti lanciati nel buio della sala.
Ogni singolo brano ha un ritmo contagioso e l’eccezionale performance degli attori protagonisti contribuiscono a creare un’atmosfera positiva e carica di emozioni forti. Menzione fondamentale anche per gli oltre 500 costumi utilizzati, metri e metri di tessuti fluo e colorati, accessori e scarpe fuori da ogni parametro classico, parrucche e acconciature impossibili anche solo da immaginare.
Priscilla la Regina del Deserto appare fin da subito un piacere per gli occhi, per le orecchie e per la mente.
Ma come ogni spettacolo accecante accoglie dentro di sé una sottile oscurità, pronta a colpire un secondo livello emotivo dello spettatore. Quello legato alla sfera più prettamente sentimentale, caratterizzata da sfumature malinconiche e amare. Sotto le piume, i lustrini, il trucco si nasconde in realtà la denuncia verso una società non ancora completamente “aperta” alle differenze (non solo di genere o di orientamento sessuale) quanto di visioni e vedute. Quei contadini rozzi australiani sono un classico stereotipo di coloro ancora incapaci di vedere oltre le apparenze che si nascondono dietro ognuno di noi. Capaci quindi di fermarsi ai colori sgargianti che le nostre drag queen indossano con orgoglio e passione.
Incapaci di percepire la storia di tre persone che lottano per cercare la loro identità e in fondo se stessi. Tick / Mitzi che desidera solo l’accettazione del figlio, un bimbo di appena sei anni che si rivela essere più saggio di moltissimi adulti nell’accettare i “True colors” del padre spaventato. Bernadette che desidera essere amata per quella che è oggi, una vera donna a tutti gli effetti, alla ricerca del compagno da sempre agognato. E Infine Adam / Felicia che dietro la sua sfrontatezza nasconde le insicurezze di un ragazzo incapace ancora di fare i conti con il pregiudizio gretto del prossimo.
Sono personaggi volutamente eccessivi ma che tratteggiano storie comuni che appartengono più che mai alla nostra società odierna. Lottare contro il pregiudizio e la meschinità di chi non accetta colori diversi dai propri.
Lo spettacolo vuole, a modo suo, farsi carico di un messaggio forte e positivo, racchiuso in quelle note senza tempo di Gloria Gaynor e della sua “I will survive”, sulle cui note si consumano le ultime battute. Una canzone che vuole essere un inno alla libertà e soprattutto un promemoria per noi stessi. Qualunque cosa accada, questa si supera e si sopravvive. Contro gli ostacoli, il razzismo, la meschinità e l’odio altrui. È un modo di urlare la promessa di un tempo migliore, di un futuro (non troppo lontano) di felicità e realizzazione. Per le nostre Mitzi, Bernadette e Felicia e in fondo anche per noi.
Quello che resta alla fine dello spettacolo è una standing ovation, un senso di liberazione non appena ci si alza in piedi per ballare con il cast ancora a scena aperta, la sensazione strana di uscire dal teatro e ritrovarsi di fronte le vie di Roma e non di New York City. Perché la cura per la regia, la gestione delle luci, i costumi e la messa in scena, così come un cast superlativo, regalano l’abbaglio di trovarsi in un teatro di Broadway e non in Italia.
Ed è questa illusione il miglior complimento che si possa fare a questo spettacolo.
L’unica nota negativa è di natura prettamente femminile. La femminilità che emanano le tre viaggiatrici di Priscilla è quanto di più lontano io riesca ad associare alla mia figura. E vi assicuro che non basta una vita intera per imparare a dimenarsi come loro su un tacco alto.
Forse solo per questo, solo per un attimo, non le ho sopportate. L’attimo dopo desideravo anch’io il mio boa di piume svolazzanti e cantare senza pensiero alcuno la mia voglia di libertà insieme a loro.
Go on now go, walk out the door,
Just turn around now, ‘cause you’re not welcome anymore,
Weren’t you the one who tried to hurt me with goodbye,
You think I’d crumble? You think I’d lay down and die?
Oh no not I, I will survive.
Priscilla la regina del deserto
Teatro Brancaccio di Roma
Per info e biglietti: www.teatrobrancaccio.it