Finché amore non ci separi
I luoghi comuni sull’amore messi a testa in giù, con intelligenza e molte risate, dallo spettacolo “La prima volta che non ti ho amato”, scritto da Claudio Morici e con le musiche Ivan Talarico
![foto1-1024x682](https://ghigliottinapuntoit.files.wordpress.com/2014/10/foto1-1024x682.jpg?w=300)
Ivan Talarico
“Siamo tutti nient’altro che principianti in fatto d’amore”, scriveva Raymond Carver in Di cosa parliamo quando parliamo d’amore. Figuriamoci in fatto di non amore, e questo reading in una decina di telefonate ce ne dà la riprova.
Probabilmente il cortocircuito emozionale alla base di questa non-storia d’amore è il tentativo di difesa dall’immensità della parola amore, tanto abusata quanto ineffabile, che fa scattare quel meccanismo di negazione da cui traggono origine le vicende esilaranti e poetiche de “La prima volta che non ti ho amato”, reading scoppiettante di Claudio Morici in coppia con Ivan Talarico e la sua eccezionale chitarra onomatopeica.
La storia prende vita sul palco della Fonderia delle Arti di Roma con i due artisti, un leone, un cavallino Pinky Pie e un altro giocattolo di pezza. Un ragazzo e una ragazza si conoscono per caso, per una mattutina, riottosa e inutile (vedi alla voce opzioni di risposta incomprensibili) intervista telefonica e per caso fanno un pezzo di vita insieme, che gli regalerà anche una bambina, sempre e rigorosamente all’insegna della mancanza di sentimento. Il tutto in una decina di telefonate.
I due protagonisti si dividono tra i ricordi e i desiderata amorosi da un lato e la prosaicità delle loro esistenze dall’altro. Lui con lo spleen da storia finita e lei spiccia e risoluta, che col bulldozer del disincanto gli spiana la strada all’idea che c’è una prima volta anche nel non amarsi e che certamente sarà per sempre.
Tra nevrosi e ossessioni, telefonate solitarie, chiacchierate con l’esuberante Pinky Pie, amori sognati, i fantasmi degli ex di cui si era innamoratissimi e una quotidianità che non regala slanci, dove tutto è un déjà vu, un eterno ritorno applicato alle rilevazioni statistiche che si tramandano di madre in figlia, l’unico spauracchio da scongiurare è quello di potersi innamorare, perché come si fa a sapere se il non amore di oggi sarà per sempre? Allora, meglio vivere alla giornata senza fare troppe congetture sul futuro.
Uno spettacolo gustoso, all’incontrario, dove il rovesciamento insinua il dubbio che, probabilmente, il senso dell’esistenza è ben diverso da quello che immaginiamo.
Ad esempio, una persona si immagina che un artista possa essere irraggiungibile, refrattario alle interviste e poi ha la fortuna di chiacchierare con Ivan Talarico e scopre che le cose che immagini possono essere sottosopra.
Ciao Ivan,
benvenuto su Ghigliottina.it.
![Ivan Talarico e Claudio Morici](https://ghigliottinapuntoit.files.wordpress.com/2014/10/talarico-morici.jpg?w=300)
Ivan Talarico e Claudio Morici
La tua capacità interpretativa è davvero notevole, come ti è venuta l’idea di cimentarti con la chitarra onomatopeica?
Grazie, è stato tutto molto spontaneo. A furia di scrivere e ingarbugliare testi e musiche con Claudio, la lingua mi s’è arrotolata per un paio di giorni e mi ha permesso di scrivere delle cosette senza parole, puri giochi vocali che mi divertono molto.
Nasci sul Lago di Como, vivi per un ventennio a Catanzaro e infine ti stabilisci a Roma. La scelta di risiedere nella Capitale è stato il tentativo di trovare un punto di equilibrio, di equidistanza (logistica quantomeno) tra le radici nordiche e quelle meridionali?
Sì, in realtà mi sento poco collocato nella geografia. Dopo aver trovato un punto di equilibrio tra nascita ed adolescenza ora cerco solo un punto di fuga per depistare le fasi successive della vita.
Dal 1999 fai parte della casa di produzione DoppioSenso Unico. Sei attore e scrittore di spettacoli teatrali indipendenti, realizzi video, cortometraggi, componi musiche di scena, colonne sonore, insomma sei un artista versatile. Qual è il genere che ti piace di più perché ti permette di esprimere meglio la tua visione?
Più che legarmi ad un genere mi piace assecondare quello che mi viene in mente, quindi spesso ipotizzo che ci siano versioni più ampie della realtà che viviamo, in cui le dinamiche tra le persone, gli animali e le cose siano diverse e sostituibili.
Hai una musa o un artista nel quale ti rispecchi?
Ho uno specchio, piccolino, nel quale a giorni s’affaccia una musa, a volte un qualche artista. Ma spesso mi lasciano da solo a fare i conti con la mia faccia.
Cosa ti ha insegnato il tuo lavoro?
Il mio è un non-lavoro, un piacere faticoso, lo definirei. Lavorare per sopravvivere m’ha fatto capire che è il non-lavoro più bello che potessi avere, perché mi somiglia. Mi ha insegnato un po’ di italiano e matematica, geografia astronomica, economia e studi sociali.
Come per tutti gli artisti, immagino che non sia facile fare cultura, soprattutto fuori dai grandi circuiti, cannibalizzati dai soliti nomi. Come ti motivi?
Ma no, in fondo è facile, basta non pensare alla vanagloria ed ai soldi. Mi motivo con l’incoscienza: dieci gocce al giorno prima di colazione. E poi mi piace quello che faccio, quindi anche con la soddisfazione… Diciamo che con due grammi di soddisfazione al giorno posso andare avanti. Almeno per oggi.
Basta lavoro, passiamo al tempo libero. Ci suggerisci un angolo di Roma da scoprire assolutamente?
Tutti quelli che son camminabili di notte, nel silenzio del sonno altrui. Quindi tutte le strade che portano a Roma e percorse al contrario portano altrove.
Un libro da leggere?
Molti. Alcuni anche da scrivere.
La tua canzone-ossessione?
“Maramao perché sei morto?”. Ancora porto fiori sulla sua tomba. Non riesco a darmi pace, mi manchi, Maramao.
A cosa non puoi resistere?
A quello che mi piace. Ma per fortuna son poche cose.
Cosa ti piace della collaborazione con Claudio?
L’agguerrito scambio di idee.
Svelaci 3 cose che nessuno sa di Claudio.
- È sovrano di una piccola provincia dell’Uzbekistan, ma è mite e generoso. Alcuni suoi sudditi vengono anche a vedere i reading.
- Conserva ancora il cordone ombelicale in un barattolo di formalina, non riesce a separarsene.
- Trascorre quattro ore al giorno in una vasca da bagno piena di latte di soia. Per ispirarsi senza tormentare le mucche, dice.
Ultima domanda, qual è stata l’ultima volta che non hai amato?
Domai.
Grazie!