Road to Europee 2014: le regole
Quali saranno gli organi europei interessati dalle votazioni? Qual è il loro ruolo all’interno dell’Unione? Come “funzionano” queste elezioni? Piccolo vademecum pratico
di Raffaele Meo
Che il 25 maggio si debba andare a votare è cosa certa, ma come il nostro voto andrà ad influenzare effettivamente le politiche europee appare un po’ confuso.
Noi italiani, secondo le ricerche condotte da Eurobarometer (EU80), siamo molto interessati alle consultazioni europee (68% di affluenza, in seconda posizione dietro Malta), ma, allo stesso tempo, siamo tra i paesi che credono meno nelle istituzioni. Ben il 50% degli aventi diritto al voto non nutre fiducia nel Parlamento europeo, il 51% nei confronti della Commissione, ma è la BCE ad attirare le maggiori diffidenze con il 54% del campione.
Non solo, ma i dati confermano che siamo tra gli ultimi paesi a vedere i nostri interessi nazionali rappresentati efficacemente in Europa, con il 79% di cittadini convinti che il proprio voto non abbia alcun peso. Questo indicatore è figlio soprattutto di una perdita progressiva di fiducia nei meccanismi democratici, dato che la nostra percezione dell’effettivo successo delle politiche democratiche sia pressoché fallimentare sia in Italia (73%) che in Europa (58%).
Per essere uno dei paesi ispiratori della moderna Unione europea, bisogna ammettere che ci sembra che più di qualcosa sia andato male. Per il momento regge ancora l’idea che il nostro paese debba continuare la sua permanenza all’interno dell’Unione, ma il motivo principale per il quale viene corroborata quest’idea è la convinzione che al di fuori della zona Euro il nostro futuro non sarebbe migliore (50%).
Insomma, gli italiani vanno a votare sì, ma obtorto collo. Si riserva a questa tornata elettorale lo stesso atteggiamento di sfiducia, sia istituzionale che politico, adottato per le elezioni nazionali. Una sorta di “voto per il male minore“. Non siamo però i soli a condividere questa posizione: ben altri 20 paesi nutrono un forte senso di sfiducia verso l’Europa unita.
Percependo questi sentimenti, l’Europa prova a cambiare rotta, cercando di consegnare al voto dei cittadini di tutti gli stati europei un peso maggiore nel determinare le politiche da attuare. Negli intenti le idee sono buone, ma la realizzazione di questo principio appare piuttosto complicata.
Il sistema elettorale europeo elegge ben 751 deputati provenienti da tutti i paesi membri e ripartiti secondo un principio proporzionale detto “decrescente”. In breve, il numero è proporzionale alla popolosità degli stati, ma con le cifre ritoccate al rialzo per quegli stati demograficamente più ristretti, in modo da bilanciarne il peso. Al nostro paese spettano 73 deputati, al pari del Regno Unito, uno in meno della Francia e 19 in più della Spagna.
I seggi verranno suddivisi fra le liste elettorali nazionali in base ad un sistema proporzionale, tenendo però conto delle 5 circoscrizioni in cui lo Stato viene diviso. In pratica ogni circoscrizione assegna un tot di seggi che vengono assegnati secondo un metodo matematico chiamato dei quozienti interi e dei più alti resti (metodo Hare-Niemeyer).
A loro volta i parlamentari così eletti andranno a raggrupparsi all’interno dei partiti europei, indipendentemente da quello di appartenenza nazionale, oppure possono scegliere di partecipare alle sedute plenarie da “non iscritti”.
Per soddisfare le richieste di maggiore peso del voto, dato che il Parlamento è l’unico organo eletto direttamente dal popolo, con il trattato di Lisbona 2009 si è deciso di attribuire l’elezione del Presidente di Commissione al partito vincitore delle elezioni, al posto di lasciare questo compito ad un voto a posteriori del Parlamento stesso. Per capire di cosa si sta parlando, è necessario fare un piccolo ripasso dei principali organi dell’Unione.
Parlamento e Consiglio sono le due camere dell’organo legislativo dell’Unione, riconducibili a grandi linee a Camera e Senato in Italia. La differenza sostanziale con le istituzioni nostrane è che qui si tratta di un bicameralismo imperfetto, dove, mentre il Parlamento è eletto dai cittadini, il Consiglio è composto da un esponente ministeriale di ogni stato a seconda dell’argomento preso in esame dall’istituzione stessa. Ogni sei mesi la presidenza passa di paese in paese secondo un calendario prestabilito dal Consiglio stesso. La Commissione, invece, rappresenta un po’ quello che è il nostro Governo. Possiede l’iniziativa legislativa ed è formata da un Presidente che a sua volta elegge gli altri componenti, uno per ogni stato dell’Unione. Ogni componente della Commissione ha una sua area di competenza e ha funzioni simili a quelle dei nostri Ministri.
Dopo questo breve ripasso appare ancora più chiaro perché consegnare la nomina del Presidente della Commissione al partito vincitore delle elezioni parlamentari abbia un peso notevole. Soprattutto se il candidato deve essere palesato già durante la campagna elettorale.
Il problema rimane il forte scollamento che c’è fra le intenzioni di voto in una nazione e l’effettivo risultato. Nel nostro paese, per esempio, dove le elezioni europee sono circondate da un clima di sfiducia non solo nelle istituzioni stesse, ma nella democrazia, il voto ha il solo valore politico di giudizio sull’attuale governo, come palesato dalle rilevazioni Eurobarometer del 2009. I partiti nostrani, infatti, non si premurano a palesare la loro appartenenza ad un partito europeo, quanto continuano le loro campagne facendo leva su personalismi e programmi nazionali.
(fonte immagine: http://www.corrieresudovest.it)