Basket: Spurs-Heat, le migliori si contendono il titolo NBA
Lebron contro Duncan, sei anni dopo: da stasera l’ultimo, meraviglioso atto della stagione
di Stefano Brienza
@BrienzaStefano

Tim Duncan e Lebron James di nuovo contro (in questa immagine i due giocatori nel 2007, quando San Antonio vinse il titolo Nba contro i Cleveland Cavaliers)
Tutto. Il titolo è tutto. Per un giocatore NBA, dall’inizio alla fine della propria carriera, esiste solo un obiettivo, una speranza, qualcosa per il quale allenarsi, combattere ed immolarsi: è il titolo. Per fenomeni ed audaci più che per gli altri.
Dai semplici tifosi alla dirigenza, dallo staff tecnico ai ragazzi che puliscono il parquet, dai massaggiatori ai video coordinator, dai venditori di hot dog ai giocatori: ognuno ha un racconto da offrire, della magia da trasmettere per spiegare cosa significa essere a 4 partite dal titolo NBA. Ogni persona che si senta parte dei San Antonio Spurs e dei Miami Heat, in questo momento, sta vivendo un sogno lucido che capita poche volte nella vita.
Ad alcuni, si diceva, capita più spesso. È il caso dei Big Three che accomunano le due franchigie, James-Wade-Bosh contro Parker-Duncan-Ginobili, un mazzo di campioni da 47 All-Star Game. Big Three ormai “finti”, visto che a Miami c’è un solo, chiaro dominatore e che l’apporto di Manu è scemato nel corso degli anni, pur rimanendo decisivo. Si può dire senza paura di sbagliare che sono arrivate alle Finals le due squadre migliori della Lega, al netto degli infortuni: due franchigie di primissimo livello che hanno mostrato continuità negli anni con una gestione tecnico-finanziaria di una solidità con pochi eguali nella storia dello sport americano.
È la terza finale di fila per i Miami Heat da quando Pat Riley riuscì a portare Lebron James in Florida. Un traguardo già illustre per chiunque, ma che ancora non sazia minimamente la fame di vittoria di James, Wade e compagnia. Il re-peat deve essere la base di partenza per una squadra costruita con quelle premesse. E poi il Re ha una rivincita da prendersi, a sei anni da quel Spurs 4 – Cavaliers 0 che lo scottò all’esordio nelle Finals.
Finora è stato tutto perfetto, o quasi: nella serie contro Indiana gli Heat hanno sofferto le pene dell’inferno, di fronte ad una squadra con le caratteristiche perfette per impedire il gioco migliore a Spoelstra. Hibbert e West hanno martoriato i piccoli lunghi di Miami, impedendo al contempo di aprire spazi al micidiale contropiede degli avversari. Dopo una lotta durata sei gare, però, Wade è risorto dalle ceneri di un fisico a pezzi, gli Heat hanno ritrovato aggressività e corsa e staccato senza paure il biglietto per le Finals dominando la settima.
A San Antonio sono abituati ad arrivare in finale: negli ultimi 15 anni, rigorosamente in quelli dispari, i neroargento si sono presentati 5 volte sul palcoscenico più ambito. La curiosità? Non hanno mai perso. Però: era un’altra era, Duncan era il miglior giocatore del mondo o giù di lì (ora, pur in una stagione strepitosa ben oltre il concetto di canto del cigno, non è neanche il numero uno della squadra). Oggi l’unico Spurs con esperienza di finale, tolti i tre leader, è Bonner; e soprattutto, il fattore campo era sempre stato loro.
Miami ha il valore aggiunto Lebron, San Antonio ha Popovich. Nessun allenatore attivo ha la sua esperienza, né in generale né per quanto riguarda la preparazione delle partite e delle serie più pesanti. Spoelstra ha dimostrato di essere un degno allenatore di una squadra campione NBA, ma Pop è oltre. E ha un compito terribile.
Arginare Lebron è impossibile, quindi bisogna occuparsi degli altri. Il problema per Popovich è che San Antonio si esprime al meglio tenendo alta l’intensità difensiva e giocando in transizione, esattamente come i suoi avversari: ci starà riflettendo da mesi, e accorgimenti e contromosse accompagneranno tutti gli episodi della serie.
Wade e Bosh hanno arrancato e subito in Finale di Conference, ma quando conta solitamente escono sempre, anche se il numero 3 dovrà ancora gestire gli acciacchi. Le condizioni fisiche saranno forse il metronomo numero uno della serie: anche Ginobili e Parker sono stati discontinui finora, e non se lo potranno permettere. In ogni caso, se Wade fosse quello di gara 7 – possibile, ma solo a tratti – questa serie rischierebbe di non esistere, nonostante San Antonio sia freschissima dopo l’inaspettato 4-0 rifilato a Memphis.
Una serie che sembra progettata per offrire il miglior basket possibile: alto livello di pensiero tattico, due dei giocatori più forti di tutti i tempi (per di più molto ben accompagnati), spettacolo garantito e una serie che, a meno di casi particolari, sarà emozionante e duratura. E alla fine saremo di nuovo qui a celebrare l’ennesima impresa, a conservare istantanee da rivedere milioni di volte, a discutere di quel rimbalzo in attacco che…
Una risposta
[…] ed Allen. Non è carino essere autoreferenziali, ma la coincidenza è notevole: prima delle Finals Ghigliottina recitava: “E alla fine saremo di nuovo qui a celebrare l’ennesima impresa, a conservare istantanee da […]