Arcipelago CIE, isole infelici
Il dramma dei Centri di identificazione ed espulsione sotto la lente d’ingrandimento del MEDU (Medici per i Diritti Umani)
di Lorenzo Tagliaferri
I Centri di identificazione ed espulsione per i migranti in condizione di irregolarità sono stati istituiti in seguito all’approvazione della legge Turco-Napolitano del 1998. Denominati, in prima istanza, CPTA (Centri di permanenza temporanea e assistenza) furono istituiti con l’obiettivo di trattenere gli immigrati sprovvisti di regolare permesso di soggiorno in attesa di essere espulsi nei casi in cui non sia possibile procedere al rimpatrio immediato.
In Italia esistono al momento 13 centri di identificazione ed espulsione nelle città di Roma, Torino, Bari, Milano, Brindisi, Modena, Bologna, Caltanissetta, Crotone (Isola Capo Rizzuto), Gorizia (Gradisca d’Isonzo), Lamezia Terme, Trapani-Milo e Trapani-Serraino Vulpitta, ma per gli addetti del MEDU è stato possibile visitarne solo 11 perché sia la struttura di Brindisi, sia quella di Trapani-Serraino Vulpitta risultavano chiuse al momento della richiesta di accesso, senza alcuna precisa informazione, da parte della prefettura, riguardo una loro riapertura.
L’analisi si concentra innanzitutto sulle caratteristiche principali dei CIE, che risultano essere fondamentalmente suddivise in tre zone: una disponibile all’accesso per l’ente gestore e ai servizi, una seconda disponibile all’accesso delle forze dell’ordine e un’ultima zona adibita all’accoglienza e al trattenimento degli immigrati, e prosegue esaminando ogni singola situazione corredando il tutto con dettagliati elenchi dei disagi che le caratterizzano.
Tra i casi più eclatanti c’è sicuramente quello del CIE di Roma, in zona Ponte Galeria, il più grande d’Italia. Può arrivare a contenere fino a 354 persone con una tendenza media di 240 presenze. Il centro è stato visitato in due occasioni e al momento della prima visita effettuata dal MEDU nel centro erano presenti 225 immigrati (155 uomini e 70 donne). Al momento della seconda visita, nel centro, erano presenti 187 persone di cui 135 uomini e 52 donne. Le carenze segnalate dagli immigrati presenti nel centro sono sconcertanti, a partire dai servizi igenici privi di porte, il riscaldamento malfunzionante così come l’acqua calda e l’obbligo di pettinarsi con forchette in assenza di semplici pettini.
Un secondo caso significativo è quello del CIE di Bologna. Situato nella periferia della città può ospitare fino ad un massimo di 95 persone ed è stato visitato in due occasioni diverse; nella prima vi si trovavano 48 uomini e 19 donne, mentre nella seconda visita erano presenti 28 uomini e 22 donne. Il centro è un vero e proprio corollario di situazioni di disagio tra le più disparate: mancanza di riscaldamenti, finestre e vetri danneggiati, assenza di porte nei bagni, carenza di spazzolini, dentifrici e assorbenti, insufficienza di coperte e il preoccupante dato riguardante il cambio della biancheria che, secondo il rapporto MEDU, avviene una volta ogni 10 giorni.
Evidenze che non possono che portare a conclusioni piuttosto ovvie riguardo la situazione dei CIE nel nostro Paese. Il rapporto si conclude spiegando come le caratteristiche strutturali degli undici centri visitati siano totalmente inadeguate ad assolvere il compito per il quale sono adibite, con chiari problemi di diffusa inagibilità che vanno ad incidere sulla piena utilizzabilità delle strutture producendo un clima di tensione che, in generale, è stato riscontrato in tutti i CIE visitati.
È chiaro come la realtà di queste strutture risulti essere stata mal interpretata da chi legifera, non solo per le inumane condizioni degli immigrati trattenuti, ma soprattutto per l’effettiva utilità di strutture poco adeguate al controllo. Continuare ad affidarsi a tale metodologia produce una perpetua violazione di diritti fondamentali attinenti la vita umana, oltre che una spesa difficilmente sostenibile e men che meno giustificabile.
Per saperne di più: MEDU