Il debutto di Benjamin Àvila con la sua “Infancia Clandestina”
Dal 9 al 15 maggio il Festival del cinema spagnolo è tornato al Cinema Farnese Persol di Campo de’ Fiori di Roma con la sua sesta edizione. Tra le proposte emerge Infancia clandestina, primo film del regista Benjamin Àvila
di Isadora Casadonte
Si è da poco conclusa la sesta edizione del Festival del cinema spagnolo, fondato e diretto da Iris Martìn-Peralta e Federico Sartori. Le ultime novità cinematografiche di valore provenienti dal cinema latinoamericano sono state proiettate al Cinema Farnese in versione originale, con l’inserimento di sottotitoli in italiano.
Infancia clandestina, primo lungometraggio di Benjamin Avila, è stato proposto al pubblico del festival il 14 maggio alle 21.30.
Basato su esperienze realmente vissute dal regista durante la sua infanzia, il film si fa testimonianza del teso clima politico in Argentina sotto la dittatura militare di Videla, dopo il rovesciamento del governo Peron nel 1976. Una testimonianza particolare però, che ci ricorda il Calvino de Il sentiero dei nidi di ragno, dove il mondo partigiano è osservato dall’interno, attraverso gli occhi di un bambino che vive la resistenza combattendo dalla parte giusta, senza però comprenderne fino in fondo le crude dinamiche.
Nel film di Àvila a vivere un’infanzia clandestina è Juan, figlio di due guerriglieri peronisti che nel 1979, dopo aver vissuto in esilio, decidono di tornare in Argentina per riprendere la loro battaglia in nome della libertà. Il ritorno nella terra d’origine comporta però il rispetto di regole precise, unica sicurezza a cui ancorarsi per non soccombere alla paura di essere scoperti. Prima fra tutte il cambio d’identità: una volta in Argentina il nome di Juan diventa Ernesto, come il Che.
La cifra del contrasto sembra animare l’intero film: quello politico della polizia contro i guerriglieri, quello simbolico della bandiera di Belgrano sostituita da “quella con il sole” ma soprattutto il contrasto generazionale. A fare da controcanto al mondo degli adulti, rappresentato dai genitori di Juan e dagli altri compagni, c’è il mondo dei bambini, quello del protagonista e della sorellina oltre che di Maria, la compagna di scuola che fa vivere al protagonista l’esperienza del primo amore.
Un universo a tratti impenetrabile quello degli adulti, fatto di regole rigide, gradi militari ed armi. Il piccolo Che spia dalla porta chiusa l’arrivo in casa dei guerriglieri amici dei genitori, ed è con un misto di fascino e spavento che rivolge lo sguardo alle pistole che la madre distribuisce loro. Lui, che al luna-park con Maria sparerà solamente ai palloncini.
Il ruolo di mentore spetta però allo zio Beto, quasi il ponte di raccordo tra i due mondi, un uomo coraggioso che aiuta Juan ad avvicinarsi alla sfera adulta e a svelarne i segreti (“una donna è come una nocciolina ricoperta di cioccolato…”).
Eppure quando gli adulti si servono del linguaggio universale della musica diventa facile unirsi a loro, e mentre la madre canta insieme agli altri guerriglieri o balla abbracciata al marito durante la festa di compleanno di Ernesto, allora quel divario invisibile tracciato dall’età sembra quasi scomparire.
Ma quel contrasto c’è. O non sarebbe così difficile per Juan ribellarsi all’infanzia clandestina che le scelte pericolose dei genitori gli hanno imposto. Il suo tentativo di fuggire in Brasile con Maria fallisce, perché è ancora troppo bambino per scelte così grandi. La guerra clandestina dei genitori è guidata da ideali di giustizia e libertà ma è pur sempre una guerra, che porta con sé il rischio di perdite che agli occhi di un bambino non possono che apparire senza senso (“non mi interessa se è stato coraggioso, a me serviva vivo“).
L’ingresso nel mondo degli adulti avviene rapido, si para davanti agli occhi di Juan e lo tira a sé violento, allontanandolo da sentimenti bambini.
“Non tradire mai te stesso“: questo l’insegnamento dello zio Beto che accompagna il protagonista quando alla domanda “chi sei?” il ragazzo risponde con tono risolutorio “Juan!”. E’ questa la rivendicazione di un’ identità riconquistata, che risuona in chiusura del film puntando l’accento sull’imprescindibile diritto umano di difendere la propria libertà individuale ed il proprio nome.
Un film, quello di Benjamin Àvila, che visto in lingua originale trasmette tutto il calore della pronuncia argentina, con i diversi colori delle sue tonalità. Un film infinitamente arricchito dalla soluzione artistica del disegno animato in sostituzione delle scene violente e più dolorose, come quelle in cui campeggia la morte o la devastante consapevolezza di un addio.