Cambia tutto, cambia niente
Nasce l’esecutivo Letta e il gattopardismo risorge, in un clima da restaurata DC e tensione sociale alle stelle
di Adalgisa Marrocco
Esito delle elezioni che decreta ingovernabilità, crisi economica con disoccupazione e spesa pubblica a fare da zavorre, malcontento popolare alle stelle.
Un governo di solidarieà nazionale s’insedia, con due partiti agli antipodi che si stringono la mano. Politica protagonista di un episodio di autoreferenziale cerchiobbottismo.
“Se è vero che una politica di rinnovamento democratico può realizzarsi solo se è sostenuta dalla grande maggioranza della popolazione, ne consegue la necessità non soltanto di una politica di larghe alleanze sociali, ma anche di un determinato sistema di rapporti politici, tale che favorisca una convergenza e una collaborazione tra tutte le forze democratiche e popolari, fino alla realizzazione fra di esse di una alleanza politica”, ha scritto qualcuno in questo clima. Quel qualcuno era Enrico Berlinguer ed il clima era quello dei primi anni Settanta.
Parole che i loro esatti quarant’anni se li portano benissimo, quelle dello storico segretario del PCI. Banalmente, si potrebbe parlare di corsi e ricorsi storici. Realisticamente, parliamone pure.
Anni Settanta e compromesso storico, 2013 e compromesso “accontenta tutti” per il nuovo esecutivo di Enrico Letta. Ci sono tutti: Pdl, correnti di centrosinistra varie ed eventuali, eredità tecnocratiche, ma nulla per l’outsider M5S. E, in ognuna di queste anime che hanno trovato pace grazie ad una poltrona ministeriale, troviamo un pizzico di Democrazia Cristiana. Sia dovuto ad un passato di militanza, ad un’attuale appartenenza o a “trasmissione genetica”, è innegabile come il governo Letta riporti alla mente lo stile Prima Repubblica, seppur con standard qualitativi più bassi.
Ma se questa constatazione è valida, a farle da contrappeso sussiste l’eccellenza di talune nomine. Per fare un esempio, fino all’altro ieri Emma Bonino alla Farnesina era soltanto un buon proposito da sognatori. Inopinabile, checché ne dicano i puntualizzatori last-minute, sempre alla ricerca di un pelo nell’uovo pur di dar fiato alla bocca.
Insomma, quello appena nato è un esecutivo che, strategicamente, ha optato per la filosofia “non facciamo torto a nessuno”. Illudere anche l’elettorato con quote rosa in abbondanza, nomi intoccabili e novità che non t’aspetti. Un governo la cui nascita avviene sulle note di una colonna sonora tanto azzeccata, quanto drammatica ed inquietante: i colpi di pistola davanti Palazzo Chigi.
Sia frutto di strategia della tensione (versione brutta copia) o prodotto d’individuale disperazione, l’attentato di domenica 28 aprile lascia una certezza: il Paese è ad un punto di non ritorno. Solo l’episodio eclatante lo esplicita, anche se la gente lo sperimenta da troppo.
E non serve nemmeno più il monito “non moriremo democristiani”. Nella tensione disperata, l’ideologia si perde ed il gattopardismo risorge.
Tutto cambia, affinché tutto resti uguale. Ma il punto è che o si rifà l’Italia, o si muore.
(Fonte immagine: http://www.lettera43.it/)