Labirinto di Burhan Sönmez
Labirinto non è un libro didascalico, non offre risposte ma anzi stimola nel lettore una serie di riflessioni e domande cui ognuno dovrà rispondere per sé
Edito da Nottetempo, casa editrice fondata nel 2002 da Ginevra Bompiani e Roberta Einaudi, Labirinto è un testo di Burhan Sönmez. I suoi romanzi sono tradotti in più di trenta lingue sebbene Burhan Sönmez, come lui stesso ha raccontato durante la recente presentazione alla Libreria Nuova Europa di Roma, non nasca scrittore né abbia deciso a priori di intraprendere tale percorso.
Nato ad Ankara, avvocato, è espatriato per motivi politici in Regno Unito. Una volta in Gran Bretagna non ha potuto subito esercitare, in attesa che anche fuori dalla Turchia gli venisse riconosciuta l’abilitazione. Inoltre, costretto lungamente a letto per motivi di salute, ha impegnato il tempo libero scribacchiando note, storielle e altro. Ad un certo punto si è trovato con una mole di appunti che, riletti tutti insieme, portavano in nuce quello che sarebbe diventato il suo primo romanzo.
Labirinto è il suo quarto libro, il meno politico di tutti. Nonostante questo il moderatore, il giornalista Gabriele Santoro, nel corso dell’evento di presentazione ha orientato l’ottanta per cento delle domande sull’attualità politica. Sebbene sia stato interessante ascoltare Burhan Sönmez – tono pacato e posizioni chiare – parlare dell’attuale situazione in Turchia, credo che l’intervista abbia poco valorizzato la sua opera letteraria e il libro in presentazione.
Fortunatamente erano presenti diverse persone che, la sottoscritta inclusa, il libro lo avevano non solo già acquistato ma anche letto e discusso avendo partecipato al gruppo di lettura facilitato da Laura Ganzetti e ospitato dalla Libreria.
Burhan Sönmez ha deciso di dare vita in questo libro a un personaggio completamente diverso da se stesso: non solo Boratin è più giovane dell’autore ma ha anche un rapporto con la memoria diverso da quello che appartiene all’autore.
Il lettore incontra Boratin, musicista blues, qualche giorno dopo il suo tentativo di suicidio dal quale emerge praticamente illeso ma senza memoria. Sa come si chiama perché qualcuno gli legge il nome sulla carta d’identità che gli hanno trovato addosso. Sa dove vive. Ma non sa chi è. E non sa se vuole recuperare i suoi ricordi.
Non riconosce le strade e deve di nuovo imparare come muoversi tra la folla.
Si interroga su chi sia veramente, sulla sua identità al netto dei ricordi. Senza conoscere il passato, sente di non sapere quale sia il suo futuro come una traiettoria in cui perdendosi il prima – da dove si viene – si è incerti su dove andare, quale direzione seguire.
Labirinto non è un libro didascalico, non offre risposte ma anzi stimola nel lettore una serie di riflessioni e domande cui ognuno dovrà rispondere per sé.
Inevitabile infatti per il lettore riflettere su sé stesso, la propria identità e il rapporto con il proprio passato. Inevitabile anche tutta una serie di riflessioni sulla memoria: senza passato non sei nessuno e puoi, paradossalmente, essere tutto ciò che vuoi. E in questo c’è un’istanza di libertà.
Interessante la riflessione dell’autore su quanto ognuno di noi sia veramente libero. Nessuno di noi può veramente saperlo. Tutto è mediato dagli input derivanti dall’ambiente esterno (libri, televisione, scuola, etc.) che influenzano il nostro giudizio. Prendendo ad esempio la moda – a favore dell’audience tutto italiano alla presentazione del libro – Burhan Sönmez si chiedeva quanto la percezione di piacevolezza di un outfit sia determinato dal nostro gusto personale piuttosto che da una serie di dettami che abbiamo ricevuto e che forgiano una sorta di gusto collettivo.
Riflessione che può essere ovviamente traslata anche ad altri ambiti.
Boratin è confuso. Vive una sorta di perdita di orientamento spazio temporale: ha nella sua testa informazioni che non sa datare e gli eventi storici che ricorda non sa se siano accaduti millenni o secoli fa o solo il giorno prima.
Si riflette dunque sul rapporto tra Storia e passato che, come spiegava l’autore, hanno un confine molto sottile. Boratin nel corso delle pagine, per esempio, guarda più volte una statuetta rappresentante la Pietà. Non sa collocarla nel tempo ma la riconosce. Sebbene quella scena risalga a duemila anni fa, nel momento in cui si riconosce in essa sulla base del proprio vissuto il dolore di una madre per il figlio morto, tale riconoscimento riporta l’evento molto più vicino a chi osserva tirandolo fuori dalla Storia e inserendolo in qualche modo in un passato comune.
C’è il senso di colpa. Per lo più immotivato per quel che ne sa il lettore. Ma lui, Boratin, non ricordandosi chi era e cosa ha fatto in passato si chiede e chiede agli altri se ha mai fatto male a qualcuno, se è mai stato violento.
Confusione, incertezza, disorientamento, senso di colpa.
A coinvolgere è anche uno stile che ho trovato “immersivo”: si passa in continuazione da una terza persona e una prima persona, da un narratore onnisciente a un narratore ignorante, nel senso letterale del termine: Boratin non sa. Sono un po’ le due voci attraverso cui il protagonista cerca di dare un senso a ciò che lo circonda: la voce di chi gli offre ricordi (amici, conoscenti, medici…) e la sua propria voce che continua a interrogarsi su tutto senza avere una reale risposta. I dialoghi non sono segnati.
Il lettore si ritrova così nel labirinto della mente di Boratin e delle strade da lui percorse alla ricerca di un senso, strade sia mentali sia fisiche attraverso la città di Istanbul che fa da sfondo.
La città di Istanbul, nella sua valenza di ponte tra Asia e Europa, e lo stesso ponte sul Bosforo – da cui Boratin si è lasciato cadere e da cui è emerso miracolosamente illeso ma senza ricordi – diventano metafora di un ponte tra passato e presente, tra un prima e un dopo non sempre riconciliabili, tra il sé e gli altri.
Il lettore che si trova a riflettere su se stesso, sul proprio passato e sulla memoria non avrà risposte da questo libro ma inevitabilmente sarà chiamato in questo frangente storico a riflettere sull’istanza di libertà sollecitata nel corso dell pagine e al contempo a vigilare e assicurarsi che in questa ricerca di libertà non ci sia spazio per una riscrittura non volontaria della memoria.