Come nasce il vaccino
Cos’è un vaccino? Qual è la sua storia? Su Ghigliottina un ciclo di articoli dedicati a una delle più importanti scoperte mediche di sempre
Dopo un breve abstract pubblicato su Ghigliottina, al via una serie di puntate che ripercorrono brevemente la nascita di una scoperta leggendaria nella storia della medicina. Da semplice inoculazione anti-vaiolosa fino ad arrivare al vaccino come noi oggi lo intendiamo. Spiegheremo che non in tutte le epoche si può parlare propriamente di vaccino e che il suo nome deriva proprio da “vacca”.
Il vaiolo era una malattia insidiosa, molto spesso mortale, a carattere endemico caratterizzata dalla comparsa di pustole virulente su tutto il corpo che lasciavano deturpanti cicatrici. Il vaiolo era il responsabile di un terzo dei casi di cecità in Europa nel XVIII secolo. Dal Settecento il vaiolo ebbe in Europa un incremento con una rapidità allarmante. Tra i malati una persona su sei moriva. Solo a Londra morivano circa 3mila persone l’anno e in tutta l’Inghilterra 40mila. Nel 1746 fu aperto a Londra un ospedale dedicato ai malati di vaiolo, dove si praticava la variolizzazione.
La variolizzazione
Per fortuna per diminuire la pericolosità della malattia esisteva in Oriente una pratica chiamata variolizzazione o inoculazione, che consisteva nell’aprire le pustole di un bambino affetto da vaiolo al dodicesimo o tredicesimo giorno di malattia, prelevare il pus contenuto e tenerlo in un contenitore di vetro pulito al caldo fino alla persona da inoculare. Dopo di che, venivano fatti tanti piccoli tagli sulla pelle del soggetto da trattare così da provocare un lieve sanguinamento; allora il pus veniva mescolato con il sangue e la ferita coperta con il guscio di mezza noce per qualche ora. Di solito, i sintomi del vaiolo si sviluppavano nel giro di una settimana lasciando il soggetto immune.
Tutti venivano colpiti nel corso della loro vita al punto che si pensava che il vaiolo fosse una naturale manifestazione dell’organismo. Il 15% circa dei malati moriva e un altro 15% portava in volto i segni caratteristici. A parte la prevenzione, non esistevano cure adeguate, la medicina ufficiale doveva rassegnarsi ad una pura descrizione della malattia come fa nel 1798 il dr. Faust che spiega i sintomi del vaiolo prima della fase eruttiva e ne classifica la gravità in base al numero di pustole.
È esso benigno? Allora il numero di piaghe è inferiore a mille. (…) È maligno? Allora si contano diverse migliaia di piaghe (…) e la probabilità di morte è di una su dieci. (…) Quando si parla di un numero infinito di piaghe, allora il vaiolo è confluente dalla testa ai piedi. Il corpo è come immerso nell’olio bollente e i dolori sono immensi. Con la suppurazione il viso è mostruosamente gonfio e sfigurato, gli occhi sono chiusi, la gola infiammata, chiusa, tanto da non potere neppure inghiottire quell’acqua che il suo rantolo implora senza cessa.
Breve storia del vaiolo
Il vaiolo era una malattia conosciuta già dai tempi del faraone Ramses V (1157a.C.), la cui mummia sembra mostrare i segni della patologia, ed era conosciuto anche dai cinesi almeno nello stesso periodo.
Gli arabi nella loro conquista dell’Africa diffusero il vaiolo, i crociati poi reintrodussero il virus in maniera più estesa in Europa al loro ritorno. La malattia è stata presente in India per migliaia di anni e prove delle misure preventive di variolazione vengono trovate nel testo sanscrito “Sacteya” attribuito a Dhanwantari. Addirittura nella mitologia Bramina (XX-X sec. a.C.) si riconosce un dio atto a curare il vaiolo. Nonostante la variolazione non fosse una pratica diffusa in Europa, non significa che non si conoscesse già dai primi anni del Settecento. In quel secolo la malattia ebbe una grossa recrudescenza con l’aumento demografico delle città poiché erano presenti proprio nelle città le condizioni più favorevoli per far sviluppare questo morbo che si trasmette con contatto interumano.
Diversi medici erano venuti a contatto con la pratica della variolazione in modo particolare da Istanbul come ad esempio il dottor Timoni, medico dell’ ambasciata inglese in Turchia e Pylarini, medico al consolato veneziano. Essi perfezionarono così questa pratica che prendeva origine probabilmente dalla medicina popolare greca. Entrambi inviarono un rapporto su tale pratica alla Royal Society, ma l’ organizzazione accolse queste prove con scarso interesse e ciò ritardò l’introduzione della pratica in Europa.
Oltretutto, in Occidente i medici erano assai cauti nell’adoperare questa pratica poichè un singolo fallimento avrebbe portato alla rovina della loro reputazione. A peggiorare le cose, c’era il fatto che la forma di vaiolo che si sviluppava a seguito della variolazione, a causa dei climi molto freddi, era assai più acuta del normale e quindi più pericolosa.
[fine parte prima]
Federica Albano e Gerardo Gatti