Processo Eternit, un’ingiustizia attesa
La Corte di Cassazione ha annullato il processo Eternit. Il reato sussiste, ma è intervenuta la prescrizione dei reati. I primi due gradi di giudizio hanno dato ragione alle vittime dell’amianto ma il processo era viziato da un “errore” sin dall’inizio
La storia italiana dell’Eternit ha inizio già nel 1906. La prima fabbrica venne aperta a Casale Monferrato (Alessandria). Nella cittadina piemontese le prime morti imputate all’amianto risalgono agli anni ’50, nel decennio successivo cominciarono a morire anche persone non direttamente coinvolte nel processo produttivo del materiale. Negli anni ’70 ebbe inizio la campagna di sensibilizzazione sul rischio per la salute rappresentato dalla manipolazione e dall’utilizzo dell’eternit. Bruno Pesce, sindacalista CGIL, e Nicola Pondrano, operaio dell’Eternit, organizzarono una campagna d’informazione e fondarono un comitato delle vittime.
Nel 1986 la produzione di lastre di amianto venne sospesa definitivamente a metà degli anni ’90. Solo nel 2004 venne presentata a Torino la prima denuncia contro i proprietari dell’azienda per inosservanza di qualsiasi disposizione in materia di sicurezza sul lavoro. Dell’inchiesta fu incaricato il procuratore Raffaele Guariniello.
Il processo Eternit è cominciato nel 2009: imputati i due patron della multinazionale dell’amianto, il barone belga Louis De Cartier e l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny. Vennero presentate 2889 richieste di risarcimento danni corrispondenti a 2889 famiglie che avevano perso i propri cari (asbestosi, mesotelioma maligno) a causa del fibrocemento. I due imputati vennero condannati a 16 anni di reclusione per disastro ambientale e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche. L’accusa aveva chiesto 20 anni di carcere.
Ancora più duro il verdetto del secondo grado di giudizio svoltosi nel 2013. L’imprenditore Schmidheiny, unico imputato rimasto per la sopraggiunta morte di De Cartier, venne condannato a 18 anni. La sentenza d’appello riconosceva le sue responsabilità penali non solo per gli impianti di Casal Monferrato e Cavagnolo (Torino) ma anche per quelli di Bagnoli (Napoli) e Rubiera (Reggio Emilia) – per un totale di circa 3000 vittime in tutto. In quell’occasione venne stabilito anche un risarcimento per circa 100 milioni di euro da destinare al Comune di Casale Monferrato (principale soggetto delle bonifiche), alla Regione Piemonte, a sindacati e varie associazioni e alle 932 parti lese.
Il 19 Settembre la Corte di Cassazione ha però annullato processo e risarcimenti; non perché il fatto non sussista, ma perché è intervenuta la prescrizione dei reati contestati. In pratica gli illeciti sono stati commessi, ma il tempo trascorso non li rende più perseguibili. Come riferimento è stata presa la data di chiusura dell’ultima fabbrica Eternit nel 1986. Dopo quella data, per i giudici, gli imputati non erano più in condizione di delinquere e le successive morti, anche se consequenziali, non sono contemplate nel reato di “disastro ambientale”. Tra diritto e giustizia, “il magistrato deve far prevalere il primo” ha commentato il procuratore generale Francesco Iacoviello che ha proposto la prescrizione.
Non bisogna chiedersi se i magistrati che hanno preso tale decisione riusciranno a dormire per le prossime settimane. Piuttosto è necessario rilevare le carenze legislative che hanno permesso a tale ingiustizia di distruggere quello che era un barlume di speranza non solo per i familiari delle vittime, ma per tutta la “Repubblica fondata sul lavoro”.
Da Il Manifesto rilevano che “la tutela contro gli attacchi portati alla vita e alla salute dei lavoratori e dei cittadini in genere da lavorazioni pericolose o produttive di inquinamento ambientale è, nel nostro Paese, totalmente ineffettiva, affidata com’è a reati contravvenzionali di modesta entità o all’ipotesi di omicidio (per definizione contestabile solo dopo la morte e, in ogni caso, di difficile prova)”. Il reato di “disastro ambientale” è stato formulato nel 1930, il che basta a renderlo obsoleto. La discussione in merito all’opportuno aggiornamento è da anni ferma in Parlamento.
La legge così non ha lasciato scampo ai magistrati. Il Procuratore Iacoviello, proponendo la prescrizione, non ha potuto evitare di dire che “questo tipo di accusa non è sostenuta dal diritto”. Angosciati i parenti delle vittime: “con queste premesse non si potrà mai incriminare nessuno per le morti di amianto, perché le malattie si manifestano a distanza di molto tempo (30 anni, per questo si calcola che il picco delle morti di amianto avverrà nel 2025 ndr). Ed è questa latenza che protegge chi ha commesso questo crimine”. Il pm Guariniello invita a non arrendersi: “la Cassazione non si è pronunciata per l’assoluzione. Il reato evidentemente è stato commesso, ed è stato commesso con dolo. Abbiamo quindi spazio per proseguire il nostro procedimento, che abbiamo aperto mesi fa, in cui ipotizziamo l’omicidio”.