Bosnia: Presidenza Tripartita di base etnica
I moti di Febbraio sono solo un ricordo: le elezioni presidenziali confermano il nazionalismo
di Sara Gullace
È il nazionalismo ad uscire vincitore dalle ultime elezioni presidenziali in Bosnia Erzegovina. La Presidenza Collegiale conferma l’impronta etnica e nazionalista dei suoi tre membri, lasciando poche speranze a velleità di unione e riappacificamento interno – e ancora meno ad integrazione con l’Unione Europea.
La repubblica della Bosnia Erzegovina, a seguito degli accordi di Daitona del 1995 prevede la compresenza di 3 Presidenti contemporanei, due eletti nella Federazione Croato-Musulmana ed uno nella Repubblica Serba. Ad ogni etnia, un suo presidente. Una soluzione di governo che, se venti anni orsono rispondeva da palliativo alle guerre di indipendenza, oggi risulta anacronistica. Un vero e proprio ostacolo all’unità nazionale e ad un eventuale avvicinamento alla zona UE.
Domenica scorsa, in un clima di astensione da record (54% degli elettori al voto, due punti in meno rispetto al 2010), Bakir Izetbegovic, a capo di Azione Democratica, ha conquistato il suo secondo mandato per i musulmani mentre Dragan Čović, leader di Unione Democratica Croata rappresenterà il popolo croato della Federazione. I due candidati hanno prevalso a mani basse, confermando i pronostici. Più incerta, invece,conferma del filorusso Milorad Dodik nella Repubblica Serba che fino all’ultimo ha dovuto vedersela con il leader dell’opposizione, Ognjien Tadic. Un risultato sorprendente, visto che il partito di Dodik, l’Unione dei Socialdemocratici Indipendenti, viene da quasi 10 anni di potere incontrastato.
Nulla sembra cambiare, dunque. Nonostante le insurrezioni di piazza di febbraio, che avevano portato alla formazione di assemblee di cittadini (i Plenum), avessero fatto ben sperare per il nuovo futuro politico. La Bosnia Erzegovina è tra i Paesi più poveri d’Europa, economia paralizzata e disoccupazione al 40%. Le difficoltà del Paese e il suo malcontento si sono palesati quest’inverno in un clima che era apparso una reale presa di coscienza da parte della popolazione – prepotentemente in piazza oltre l’identità etnica, per chiedere una dirigenza politica in grado di risollevare le sorti socio economiche. Una volta al voto, invece, è prevalsa la necessità di affermare la differenza interetnica piuttosto che la necessità di riformare il Paese.
Il primo passo di riforma sarebbe superare questa situazione di collegialità e di triplice presenza politica. Gli accordi di Daytona hanno generato un’elefantiaca macchina amministrativo-burocratica che sostiene ed è sostenuta dalla divisione etnica. Non solo genera la differenza inter-etnica interna, ma se ne avvale per sostenersi. Questo fa si che il sistema politico della Bosnia-Erzegovina permetta la presenza di decine di partiti finanziati dallo Stato. Sui contribuenti grava quest’ immensa macchina amministrativa: due entità, tre presidenti per un unico ruolo, dieci cantoni, decine e decine di comuni. In questo modo, l’UE rimane veramente lontana. La stessa Costituzione bosniaca è in contrasto con la Convenzione europea per i diritti dell’uomo perché antepone i diritti delle etnie a quelli dei singoli cittadini. Bruxelles ha già sospeso i fondi pre-adesione. Mentre Croazia e Slovenia sono paesi già membri e la Serbia si prepara per esserlo.
Il destino del Paese è in mano ad una classe dirigente che con quest’apparato consolida il proprio potere e che ha basato la campagna elettorale ancora una volta sui valori e la provenienza nazionale, gettando fumo degli occhi ad una popolazione, che, come abbiamo visto, fatica anche ad andare a votare.