PD-M5S: la fine di un amore
Sembrava destinato a segnare l’attuale fase politica, invece è “bastata” una sentenza d’appello per far sciogliere come neve al sole il dialogo tra PD e M5S
di Mattia Bagnato
Il 17 luglio, giorno dell’ultimo incontro tra la delegazione “Democratica” e quella pentastellata, si è “spento prematuramente” il processo di collaborazione che aveva visto impegnate le due maggiori forze politiche, tra la delusione di coloro che credevano sinceramente nella possibilità di intraprendere un percorso riformista comune e la soddisfazione di quelli che, invece, non avevano mai voluto scendere a compromessi con “l’avversario”. Si è conclusa, quindi, nel peggiore dei modi, la “saga” dei colloqui che hanno portato, contro ogni previsione, il PD e il M5S ad un passo dall’accordo sulle riforme costituzionali. Sulla decisione, tutta grillina, di mettere da parte quanto di buono fatto fin qui, sembrano aver pesato due fattori: da un lato il mancato accordo sulle preferenze e sull’immunità; dall’altro l’assoluzione di Silvio Berlusconi.
L’ultimo capitolo – Era atteso come l’incontro risolutore, quello avrebbe dovuto tracciare la rotta da seguire sulla strada della riforma della legge elettorale, invece si è rivelato un buco nell’acqua. Le premesse c’erano tutte: il PD aveva elaborato i suoi 10 punti, il M5S li aveva recepiti, analizzati e riformulati. L’incontro, quindi, doveva servire solo a definire gli ultimi dettagli, ma invece la trattativa si è arenata, rimarcando la distanza che separa i due partiti.
Sulle preferenze il Governo ha ribadito la sua ipotetica disponibilità di giungere ad un accordo. Ipotetica, perché lo stesso Renzi ha ricordato a Di Maio come su questo tema esistono precedenti accordi con altri partiti, vedi Patto del Nazareno, che difficilmente potranno essere messi da parte. Per ciò che riguarda l’immunità, il Presidente del Consiglio è stato, se possibile, ancora più ambiguo, confermando la sua disponibilità a discutere della proposta di abolizione, a patto però che ci sia l’accordo tra tutte le forze politiche.
Il ritorno del caimano – L’apertura da parte del PD su preferenze e immunità, giudicata dal M5S insufficiente, è stata sicuramente un elemento decisivo nel paralizzare il dialogo, ma sembrerebbe sia stata l’assoluzione di Berlusconi a dargli il colpo di grazia. Così, se da un lato i grillini si sento minacciati dal ritorno del Cavaliere, che rischia di mettere in un angolo le aspirazioni pentastellate di giocare un ruolo decisivo sulle riforme, dall’altro il PD sembra aver recuperato piena fiducia nella possibilità di portare a termine in un colpo solo sia la riforma del Senato che la legge elettorale.
Conferma di ciò arriva dalle dichiarazione dei renziani più convinti: “Se l’appello avesse confermato i 7 anni, Berlusconi sarebbe politicamente morto. FI sarebbe diventata una polveriera e i frondisti avrebbe avuto campo aperto“. La sentenza d’appello, però, ha ribaltato completamente quella di prima grado, rinvigorendo il Patto del Nazzareno e rilanciando quel processo riformista di cui Berlusconi è l’interlocutore più affidabile, come ha ricordato Debora Serracchiani.
Il muro di gomma – “Il M5S non se la sente di prendere in giro gli italiani per un estate intera“. Con queste parole, Beppe Grillo, ordina il “rompete le righe“. Così, senza aver raggiunto nessun risultato tangibile, il dialogo tra PD e M5S si è sciolto come neve al sole, facendo segnare un’importante vittoria per la parte intransigente del Movimento. Una doccia fredda, invece, per il Vicepresidente della Camera, che fino all’ultimo aveva cercato di salvare il salvabile, dovendosi arrendere, però, alla decisione della Casaleggio Associati, caduta come una scure sulle fragili speranze di quanti, compreso lo stesso Casaleggio, sognavano la disgregazione del patto sulle riforme auspicando un nuovo terremoto giudiziario.
Le reazioni – Sono arrivate puntuali e senza mezzi termini da una parte come dall’altra. “Non c’è più tempo e dunque non ci sarà più un nuovo tavolo con il PD“. Si apre così il documento di rottura firmato dalla delegazione grillina che aveva preso parte all’incontro di giovedì 17 luglio. Una reazione impulsiva, che suona come un regalo destinato all’ala renziana del PD, che ha preso subito la palla al balzo, ribadendo l’inaffidabilità di Grillo e compagni: “Se aspettiamo domani torneranno ragionevoli – ha affermato Renzi – sono come le targhe alterne, un giorno si, l’altro no. L’importante è che il giorno del voto sia quello giusto“.
Ambivalenza confermata anche da Alessia Morani, che paragona Di Maio a Dr Jeckill e Mr Hide. Lo stesso Di Maio che, però, ha voluto ribadire come quella del M5S non sia affatto una chiusura, se non un modo per accelerare, dato che: “l’ennesimo tavolo sarebbe stato stucchevole, preferiamo, invece, ratificare i punti fin qui negoziati“.
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