Liberi fino alla fine: la storica sentenza della Corte Costituzionale su aiuto al suicidio e eutanasia
Sentenza storica della Corte Costituzionale sulla punibilità di aiuto al suicidio. Si attende, ora, un intervento parlamentare per l’approvazione di una legge
Nel nostro Paese eutanasia e suicidio assistito sono vietati. Il codice penale, infatti, con l’articolo 580 punisce fino a 12 anni di carcere chi assiste e istiga al suicidio. Ma facciamo un passo indietro.
Nel febbraio del 2017 Marco Cappato, storico leader dei radicali che da anni porta avanti una campagna per legalizzare l’eutanasia, accompagnò, in Svizzera, Fabiano Antoniani (dj Fabo), tetraplegico e cieco, appoggiando la sua richiesta di togliersi la vita attraverso l’assunzione di un farmaco letale.
Cappato è stato, quindi, accusato di aver rafforzato la volontà suicidaria di dj Fabo e di averne agevolato l’esecuzione, reati previsti dall’articolo 580 c.p.
Negli altri Paesi europei oltre che in Svizzera, il suicidio assistito è legalizzato in Olanda, Belgio e Lussemburgo. Francia, Spagna e Germania hanno, invece, legiferato a favore del rifiuto dei trattamenti sanitari e alla sedazione palliativa profonda continua senza andare oltre.
La richiesta del paziente deve essere, quindi, volontaria, attuale, libera e informata.
Dal 31 gennaio del 2018, anche in Italia, è entrata in vigore la legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Dat) su consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento, in cui sono considerati legittimi “il rifiuto e la rinuncia informata e consapevole da parte del paziente, espressi anche attraverso un testamento, a qualsiasi intervento sanitario, anche salvavita come idratazione e nutrizione artificiale”.
La Corte d’Assise di Milano a febbraio 2018 investe la Corte Costituzionale, del quesito di legittimità sull’articolo che punisce l’assistenza al suicidio. La Consulta decide, a ottobre 2018, con ordinanza, secondo cui “L’attuale assetto normativo sul fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti».
Sulla questione, dunque, assume sempre più rilevanza un intervento legislativo che, però, tarda ad arrivare.
Il 25 settembre 2019, la Corte Costituzionale con sentenza, delibera che “non è punibile chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.
Non è, dunque, reato aiutare una persona a morire, se sussistono condizioni specifiche, e cioè la presenza di un male incurabile e la possibilità di vivere soltanto tramite macchinari salvavita, uniti alla ferrea volontà della persona di interrompere la propria esistenza.
Immediata la reazione di Marco Cappato che ha dichiarato: “Da oggi, in Italia, siamo tutti più liberi, anche quelli che non sono d’accordo. Ho aiutato Fabiano (dj Fabo) perché ho considerato un mio dovere farlo. La Corte Costituzionale ha chiarito che era anche un suo diritto costituzionale per non dover subire sofferenze atroci. È una vittoria di Fabo e della disobbedienza civile, ottenuta mentre la politica ufficiale girava la testa dall’altra parte. Ora la battaglia, però, deve spostarsi in Parlamento perché i politici non devono avere più paura”.
Sulla decisione della Consulta è intervenuto anche Matteo Mainardi, coordinatore della campagna “Eutanasia legale” dell’Associazione Luca Coscioni: “Con questa sentenza si è fatto un grande passo avanti nel rispetto dei diritti sul fine vita e si apre finalmente ad una buona normativa per garantire il diritto di scegliere come morire, ponendo l’accento su chi è affetto da sofferenze insopportabili e patologie incurabili. Ora, la Corte ha nuovamente passato la palla al Parlamento, e quindi si è reso ancora più impellente il bisogno di approvare un testo in tempi brevi”.
Chi non è, invece, d’accordo con la sentenza è la Conferenza episcopale italiana. I vescovi, infatti, “esprimono il loro sconcerto e la loro distanza da quanto comunicato dalla Corte Costituzionale. La preoccupazione maggiore è relativa soprattutto alla spinta culturale implicita che può derivarne per i soggetti sofferenti a ritenere che chiedere di porre fine alla propria esistenza sia una scelta di dignità”.
Ebbene, la sentenza ha dato il diritto a molte persone, che si trovano in una condizione simile a quella di dj Fabo, di non dover più andare all’estero per morire e a chi li aiuterà di non essere punito per le proprie azioni ma, fin quando il parlamento non interverrà sulla questione, toccherà comunque a un giudice stabilire se le condizioni e le modalità stabilite dalla Corte ricorrano in concreto oppure no.
Il passo, dunque, più importante e decisivo è l’introduzione di una legge.