Lionel Messi, storia di un ragazzo fragile
L’errore in Copa America e la conseguente sconfitta segna il crollo, forse definitivo, di uno dei giocatori simbolo del nuovo millennio: Lionel Messi
di Andrea Pulcini
su Twitter @Purcins
L’extraterrestre torna essere umano. Lionel Messi, seduto solo sulla sua panchina mentre osserva la gioia pervadere gli occhi e le anime dei cileni. Questa è l’immagine simbolo della Copa America del Centenario.
Doveva essere la SUA coppa, la chiusura, finalmente trionfante, di un triennio in chiaroscuro dopo due finali perse consecutivamente. Prima il mondiale sfuggito per colpa di una rete di Mario Götze, poi i rigori fatali un anno fa e parimenti fatali lo scorso 26 giugno.
“La pulce” giunge dopo l’errore di Vidal all’appuntamento col destino. Un goal e la gloria si sarebbe spalancata davanti ai suoi occhi. Arriva teso sul dischetto Messi. Nella sua rincorsa c’è tutto il peso che questo ragazzo si sente addosso ogniqualvolta indossa la camiseta albiceleste dell‘Argentina, da quando il DIO del calcio l’ha consacrato, dandogli come termine di paragone El Diez.
Portare in dote il numero del giocatore più forte d’Argentina si è dimostrato per Lionel più un onere che un onore. Diego Armando Maradona sarà sempre un ombra per l’esile rosarino. Perché, nonostante i trofei, individuali e collettivi collezionati in questi anni, una cosa manca a questo ragazzo per mettersi almeno in pari col nobile predecessore: una vittoria con la nazionale.
Al momento del calcio la delusione ha pervaso prima il suo volto, poi il suo spirito.
La partita era aperta ma lui sentiva di aver fallito. Doveva essere il faro, il leader, ma nel momento decisivo, sbagliando ha realizzato di aver tradito in primis i suoi compagni e poi la sua nazione.
Claudio Bravo, avversario ma compagno di squadra al Barcellona, giunge a consolarlo, gli offre una spalla su cui versare le prime lacrime. È silente Messi ma sta già partorendo una decisione che consegnerà poco dopo alla stampa: l’addio all’albiceleste.
Dietro a questo gesto c’è una resa probabilmente inevitabile. C’è la consapevolezza, che a molti sembrava evidente anche solo per le epoche e le carriere diverse avute dai due calciatori, che Messi e Maradona sono simili ma non paragonabili.
Se confermata, questa scelta sarà stata probabilmente presa perché Leo, vuole smettere di essere considerato il nuovo Maradona per venire identificato semplicemente come Lionel Messi, il miglior giocatore della sua epoca.
D’altronde non sarà la conquista o meno di un Campionato del Mondo e/o di una Copa America a dare o togliere lustro alla carriera di questo ragazzo che dal 2004, anno del suo esordio, ha dato al mondo un nuovo termine di paragone.
Molti sono stati avvicinati alla sua classe. Con alcuni ha anche giocato. Tra i tanti, Ronaldinho, suo compagno di squadra agli esordi, è forse l’unico che per classe e istinto si è avvicinato a Leo. Dopo poco, solo Cristiano Ronaldo ha scalfito il trono di Messi come miglior giocatore di questi anni.
Per tracciare un paragone con Capitan Tsubasa, cartone animato e fumetto conosciuto in Italia col nome di Holly e Benji. Questi due personaggi sono assimilabili a Oliver Hutton e Mark Lenders. Per Lenders come per CR7 è la voglia di primeggiare sul rivale, la benzina che anima il suo spirito. Mentre Leo, inserito in un contesto familiare come quello del Barcellona, portava chi gli stava attorno a dare il meglio.
Leo, da buon rosarino, dopo vent’anni di esilio spagnolo, tornerà nel 2018 a vestire la maglia rossonera del Newell’s, club che ha solo sfiorato da in giovane età ma nel quale ha lasciato il suo cuore. L’unica cosa che ci resta da scoprire è se, tornerà nella sua terra natia a disegnare e insegnare calcio, da partecipante e/o vincitore della Coppa del Mondo in Russia.
Una cosa è però certa, come cantava De Gregori ne “La leva calcistica del ’68”: non sarà certo un calcio di rigore a far scendere Messi dall’olimpo del pallone.