Enheduanna, la prima firma letteraria
Poeta e sacerdotessa mesopotamica poco conosciuta, è stata recentemente oggetto di una mostra a New York. Diane Cole ne esplora l’influenza – guardando a come ha contribuito a creare un sistema comune di credenze nell’antico impero.
È stata la prima autrice a essere nominata nella storia documentata. Poeta, principessa e sacerdotessa mesopotamica: Enheduanna.
Sorpresi? “Quando le persone si chiedono chi sia stato il primo autore, non immaginano mai che sia stato qualcuno in Mesopotamia, e che si tratti di una donna”, ha dichiarato Sidney Babcock, curatore della mostra allestita alla Morgan Library di New York, She Who Wrote: Enheduanna and Women of Mesopotamia, cs 3400-2000 BC. Di solito pensano a una personalità dell’antica Grecia; se nominano un’autrice, al massimo è Saffo, che è vissuta un millennio più tardi, e di cui ci restano meno opere rispetto a Enheduanna.
Se non ne avete mai sentito parlare, è normale. Enheduanna è rimasta sconosciuta alla modernità fino al 1927, quando l’archeologo Sir Leonard Woolley ha dissepolto oggetti che portavano il suo nome. Sappiamo che il suo nome in sumero significa “ornamento del cielo” e che, come alta sacerdotessa della divinità lunare Nanna-Suen, ha composto 42 inni templari e tre poemi che, come l’Epopea di Gilgamesh (che non è attribuita a un autore esplicito), gli studiosi considerano parte importante dell’eredità letteraria mesopotamica.
Congiuntamente al suo status di figura religiosa e sacerdotessa, Enheduanna deteneva un potere politico in quanto figlia di Sargon il Grande – che secondo alcuni storici è il fondatore del primo impero al mondo. In particolare, svolse una funzione essenziale nell’unire la regione mesopotamica del nord, Akkad, dove Sargon salì al potere prima di passare alla conquista delle città sumeriche del sud. Lo ha fatto favorendo la fusione tra le credenze e i rituali associati alla dea sumerica Inanna e quelli della dea accadica Ishtar ed enfatizzando quei legami nei suoi inni e poemi religiosi e letterari, creando così un sistema comune di credenze all’interno dell’impero. Ognuno degli inni che Enheduanna ha scritto per i 42 templi della metà meridionale della Mesopotamia sottolineava il carattere unico della dea patrona per i devoti di quelle città; gli inni sono stati copiati dagli scribi nei templi per centinaia di anni dopo la sua morte.
Gli scritti di Enheduanna che sono stati esposti alla mostra di New York non sono certo manoscritti come quelli che potremmo vedere in una mostra su Jane Austen o Charlotte Brontë: si tratta infatti di tavolette di argilla che portano i segni tipici della scrittura cuneiforme. In questo brano, tratto dal poema L’esaltazione di Inanna, l’autrice descrive il processo creativo:
Ho dato vita,
Oh glorificata signora, (a questo canto) per te.
Quello che io ti recitavo a (mezza)notte
Possa il cantore ripertelo a mezzogiorno!
E rivendica la paternità del testo nella conclusione degli Inni del Tempio, affermando:
“A compilare la tavoletta (è) Enheduanna. Mio signore, ciò che è stato creato (qui) nessuno lo ha creato prima”.
“La voce che udiamo negli inni è quella di una talentuosa poeta”, scrive l’analista junghiana e traduttrice di Enheduanna Betty De Shong Meador nel suo libro Princess, Priestess, Poet, del 2009. “Descrive candidamente la vita quotidiana, i pensieri e la natura intrinseca delle divinità e dei loro templi. Popola l’intero cosmo circostante con divinità attive, intriganti, incontrollabili”.
Quei poemi inoltre potrebbero alludere alla solida padronanza che Enheduanna aveva della matematica – forse non tanto sorprendente se si pensa che gli storici fanno risalire le origini della matematica alla Mesopotamia, proprio nel periodo dello sviluppo della cuneiforme e di altri sistemi di scrittura antichi. Scrittura e calcolo nacquero probabilmente per necessità nell’attiva economia agricola e tessile della Mesopotamia, dove i sistemi si intrecciavano dal momento che agricoltori e mercanti contavano ciò che veniva prodotto e registravano ciò che veniva venduto e scambiato.
Dare a Enheduanna maggiore visibilità era l’intento della mostra newyorchese. La si poteva vedere ad esempio ritratta in un disco di calcite, risalente al 2300 a.C. circa, trovato da Woolley nel 1927. La scena scolpita raffigura Enheduanna accompagnata da tre ausiliarie vestite in maniera semplice che portano oggetti rituali, tutte in solenne cammino in fila fuori da un tempio a gradoni, somigliante a uno ziggurat. Riconoscibile dall’elaborato copricapo circolare e dall’abito a balze, Enheduanna ha il viso di profilo e alza gli occhi a Inanna, dea dell’amore e della guerra. Enheduanna mantenne la sua carica per 40 anni, fino alla morte.
Femminismo antico
Oltre a Enheduanna, i circa 90 oggetti esposti nella mostra (statuaria varia, tavolette cuneiformi, placche murali, sigilli cilindrici con le immagini e i segni che lasciavano quando venivano fatti rotolare su una tavoletta di argilla o pietra) stavano a sottolineare le diverse maniere in cui le donne erano sempre più partecipi a vari aspetti della società mesopotamica. Mostrando la maggiore visibilità delle donne nel terzo millennio, “ho voluto preparare il campo per Enheduanna”, ha detto Babcock, aggiungendo che, come società, la Mesopotamia in quell’epoca era meno patriarcale di qualsiasi altro luogo. Anzi – ha aggiunto scherzando – in Mesopotamia a quel tempo, “non ci sarebbe stata Downton Abbey perché in quell’epoca le donne potevano possedere proprietà”, proprietà che si potevano ereditare per linea femminile.
Tale epoca, iniziata approssimativamente nel 3400 a.C., vide una grande crescita dei centri urbani in Mesopotamia e una costante espansione nella produzione e nel commercio di beni nel paese e nella regione. L’incremento degli ordini portò alla necessità di avere più lavoratori – molti dei quali erano donne. Al di fuori dei compiti tradizionali, domestici o religiosi, queste donne ricoprirono ruoli in un’ampia gamma di settori: ceramica, tessitura, panificazione, allevamento, birrificazione e artigianato. Una delle immagini che sono state esposte nella mostra immortala un gruppo di donne che lavorano al telaio, una delle quali in movimento, con i capelli che le si alzano dietro. In un’altra immagine ci sono delle donne accanto a quello che pare un tornio per ceramica; altrove sono sedute a mangiare insieme agli uomini, quindi apparentemente alla pari. Le si può vedere anche intente a suonare strumenti musicali, in gruppi o da sole, come in una bellissima conchiglia intarsiata in cui una donna suona il flauto, mentre dei nastri delicati le cingono i riccioli.
Quest’ultimo è solo un esempio di quella che è stata anche una sorta di sfilata di moda che ha messo in evidenza gli stili mutevoli e spesso elaborati di acconciature e abbigliamento preferiti dalle donne mesopotamiche. Statuette talvolta piccole come Barbie con trecce spesse arrotolate sulla testa come una spirale; fasce incrociate che tengono in ordine lunghe chiome fluenti e ondulate; abiti lunghi fino alla caviglia con strati di cappi pendenti che paiono piume di uccello; un abito particolarmente notevole con un disegno geometrico intrecciato che fa pensare a paglia e giunchi. La maggior parte di queste donne è raffigurata immobile, a piedi nudi, con mani giunte e tenue sorriso, come in preghiera.
Splendore reale
Il pezzo forte della mostra era il completo funerario sorprendentemente colorato della regina Puabi, vissuta circa 150 prima di Enheduanna. Consono a una sovrana, lo sfarzoso copricapo di Puabi era fatto di foglie e nastri d’oro, e perle di lapislazzuli e corniola. Sopra questi ornamenti, un intricato pettine a forma di corona adornato da fiori a stella – tutto in oro, come anche le spirali per capelli e i grandi orecchini a forma di luna. Ugualmente maestosi, i fili colorati di perle d’oro e pietre semi preziose che vanno dal collo alla vita, attorno alla quale si avvolge una cintura orlata di anelli d’oro. Anche tutte queste cose furono portate alla luce dagli scavi condotti da Woolley, che alla fine degli anni 20 del 900 fecero tanto colpo quanto la scoperta della tomba di Tutankhamon in Egitto nel 1922.
Eppure, “sappiamo molto poco della regina Puabi”, vissuta attorno al 2500 a.C., come ha detto Babcock, spiegando che ne conosciamo il nome solo perché appare su un sigillo cilindrico in lapislazzulo trovato sul suo corpo. Babcock ha anche spiegato che i sigilli cilindrici – in gran parte non più grandi di un rocchetto di filo – erano diffusi nella società mesopotamica sia come documento di identità personale sia come metodo per autenticare una comunicazione oppure, ad esempio, il contenuto di una giara. Molto significativi per chi oggi cerca di ricostruire la vita in Mesopotamia, le immagini e i motivi intricati incisi spesso sui sigilli restituiscono una ricchezza di informazioni dettagliate su tutti gli strati della società.
Oltre alle donne mortali, questi sigilli cilindrici mostrano la mutevole natura delle due principali divinità femminili Inanna e Ishtar, di cui Enheduanna ha contribuito a fondere i profili diversi in un’unica dea intercambiabile. Prima che Sargon conquistasse i Sumeri, Inanna rappresentava il principio divino femminile della madre che nutre e della regina del cielo che presiede e preserva il ciclo della vita. Il suo volto generalmente non veniva mostrato ma la sua presenza era simboleggiata da anelli di fasci di canne.
Il cambiamento però era in corso e nel 2400 a.C. il frammento di un vaso mostra una divinità femminile in sembianze umane. Indossa una corona cornuta, ha del materiale vegetale e rigoglioso che le sporge dalle spalle e tiene in mano un grappolo di datteri. Esibisce i caratteri di fertilità e fecondità associati a Inanna, ma la corona con le corna suggerisce anche ferocia.
Con il regno di Sargon e attraverso gli inni di Enheduanna, inizia a essere rappresentata una divinità femminile sempre più guerriera: Ishtar, che, nella mostra, si poteva vedere raffigurata con armi sporgenti dalle spalle e un piede sopra un leone tenuto al guinzaglio. Nei suoi poemi, Enheduanna ritrae similmente Inanna/Ishtar come potente dea della lotta e della conquista così come dell’amore e dell’abbondanza. E, come ha sottolineato Babcock, i sigilli cilindrici nella mostra illustrano in effetti scene dal suo poema, Inanna ed Ebih.
Il testo contrappone una bellicosa, infuriata Inanna al suo nemico, una catena montuosa che rifiuta di inchinarsi o cedere a lei. Vediamo la dea, armata di coltello e ascie, causare una frana di rocce e uccidere il dio della montagna. “Affilò i due bordi del pugnale. Prese il collo di Ebih come a strappare dell’erba. Infilò la lama nel suo cuore”, e “gridò come il tuono” così che “le pietre di cui Ebi era fatto gli crollarono sulla schiena”. Celebra poi la conquista poggiando il piede sopra le rocce cadute. “È la prima volta in assoluto che che si ha un’illustrazione per un testo”, ha commentato Babcock – altro primato per il lascito letterario di Enheduanna.
Che è un altro modo per dire che Enheduanna non solo ha scritto, ma continua a resistere in diversi campi: come figura significativa dell’antica Sumer, della storia delle donne e del femminismo e anche, non ultima, della letteratura.
Traduzione di Sara Concato via bbc.com
Immagine di copertina via Wikimedia, Creative Commons