Srebrenica, sorrisi per una convivenza pacifica

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Domani, 11 luglio, ricorre il ventesimo anniversario della tragedia del 1995 a Srebrenica, in Bosnia. Ma nella cittadina al confine con la Serbia c’è un luogo dove si cerca di far crescere bambini e ragazzi con la cultura dell’integrazione: la “Casa del sorriso” della Onlus Cesvi. Ne abbiamo parlato in un’intervista con la volontaria Cristina Francesconi

di Graziano Rossi

© Foto di Cristina Francesconi

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A 20 anni dal genocidio di Srebrenica qual è la situazione nella cittadina al confine con la Serbia?
Case “ferite” da migliaia di buchi. Cicatrici sui muri a Srebrenica, così come in tutta la Bosnia. Cicatrici e lapidi bianche. Soprattutto profonde cicatrici psicologiche che turbano le memorie e, inevitabilmente, ancora oggi, condizionano la vita delle persone coinvolte. A Srebrenica il dolore per il genocidio è ancora “carne viva”. E lo è ancora di più per il mancato riconoscimento da parte dei serbi. Ed è di questi giorni la notizia che il governo russo ha posto il veto su una risoluzione delle Nazioni Unite che avrebbe condannato il massacro di Srebrenica come genocidio. Secondo l’ambasciatore russo Vitaly Churkin, la bozza della risoluzione Onu sarebbe stata ingiusta nei confronti dei serbi bosniaci e avrebbe fatto accrescere le tensioni nel Paese. Altri quattro Paesi – Angola, Cina, Nigeria e Venezuela – si sono astenuti al momento del voto.

I bosniaci musulmani di Srebrenica che sono sopravvissuti fanno fatica a raccontare. Ma dai loro occhi, dai gesti, dalle parole che si strozzano in gola, capisci che quello che hanno visto e vissuto 20 anni fa è talmente orribile da non poter essere raccontato. Nel memoriale di Potocari una distesa di nomi e di lapidi bianche ci grida in faccia l’orrore e la stupidità del genere umano. Ci sono i filmati girati da generali folli e spietati che giocano con la dignità delle persone prima di ucciderle. Ci sono i buchi dei proiettili. Molte delle persone trucidate l’11 luglio del 1995 a Srebrenica non sono ancora state ritrovate.

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Durante la mia visita alla sede dell’ICMP (Commissione Internazionale per le Persone Scomparse) a Tuzla, ho visto migliaia di sacchi in plastica con frammenti umani all’interno, contrassegnati da numeri e codici, disposti in scaffali. Sono i corpi ritrovati nelle fosse comuni e non ancora identificati. Il difficile e delicato compito delle persone che lavorano all’ICMP consiste nel ricomporre “puzzle” di vite perdute, pezzo per pezzo, e arrivare, grazie a sofisticati processi di riconoscimento del DNA, a una identità da riconsegnare alle famiglie e alla storia. Anche se doloroso, per le famiglie significa mettere fine a quel tormento interiore legato all’incertezza.

Il problema del ritrovamento delle persone disperse e di nuove fosse comuni è reso ancora più complesso dalle mine. A distanza di 20 anni il territorio è disseminato di cartelli rossi con teschi bianchi e la scritta PAZI-MINE. Le ultime grandi alluvioni e i conseguenti smottamenti del terreno hanno mosso le mine dalle aree già segnalate. Così ancora oggi, al di fuori delle strade asfaltate, il pericolo è altissimo. Il problema dello sminamento in Bosnia-Erzegovina che doveva concludersi nel 2009 non sarà ultimato, in base alle ultime stime, nemmeno nel 2019, prossimo termine datosi dalle autorità di Sarajevo.

La Casa del Sorriso come punto di ritrovo per favorire il dialogo tra etnie diverse attraverso lo studio e il gioco. I bambini e gli adolescenti che la frequentano come vivono questo luogo dedicato all’integrazione?
Cancellare cicatrici così profonde e ancora così presenti è molto difficile. Alle nuove generazioni è affidato questo compito. Nella Casa del Sorriso Cesvi di Srebrenica ragazzi serbi e bosniaci provano a ricostruire una convivenza pacifica attraverso varie attività di doposcuola.

Ma la Casa è anche un semplice ma importante punto di accoglienza: molti dei bambini raggiungono la scuola con gli autobus perché i genitori non hanno i mezzi per accompagnarli. Senza la Casa del Cesvi, sarebbero costretti ad aspettare per molte ore in strada l’autobus che la sera li riporta a casa. Nei rigidi mesi invernali non esiste altra struttura dove potrebbero ripararsi.

Durante il mio soggiorno hanno dipinto un grande pannello: accanto a un fiore secco, che rappresenta guerra, odio, violenza e distruzione, sboccia un fiore pieno di colori. È un mondo nuovo, fatto di pace, rispetto, umanità, convivenza. Le situazioni alle spalle di questi bambini sono spesso difficili e il disagio si riversa sulla difficoltà di interagire con altri bambini. Il gioco e la pazienza del personale Cesvi, che opera nella Casa del Sorriso, fanno in modo che queste difficoltà vengano superate. Il futuro della Bosnia-Erzegovina è nelle mani di questi ragazzi.

© Foto di Cristina Francesconi

© Foto di Cristina Francesconi

Ad oggi le tensioni etniche nei Balcani non si sono del tutto dissolte. Secondo lei quale ruolo dovrebbero svolgere le istituzioni dei Paesi della ex-Jugoslavia e l’Europa (intesa come UE) per far sì che sanguinosi conflitti come quello degli anni ’90 non avvengano più? C’è davvero la possibilità che i diversi popoli, dalla Slovenia in giù, fino al Kosovo e alla Macedonia, possano in futuro essere tutti dalla stessa parte?
Non sono in grado di darle delle risposte a riguardo. Già la sola Bosnia-Erzegovina è una realtà impossibile da catalogare in ruoli definiti, è piena di infinite sottili sfumature.Tutto sembra separato da diversità incompatibili, inavvicinabili, eppure indissolubilmente fuso da secoli di storia. Amici Nemici. Oriente, occidente, serbi, bosgnacchi, musulmani, cristiani, vittime, carnefici, colpevoli, innocenti… perfino le carte geografiche risultano difficili, amalgami di stati divisi ma inglobati in una stessa nazione. È uno stato complicato in un’area geografica molto complessa. Il mio auspicio è che non si continuino ad alzare muri (come invece stiamo facendo ultimamente), ma che al contrario si abbatta ogni barriera. Ogni muro alzato è una sconfitta alla capacità di dialogare.

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