Proteste in Marocco: cosa chiede la GenZ

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In Marocco la GenZ ha organizzato delle proteste per chiedere più giustizia sociale e porre fine all’ipocrisia e alla corruzione degli organi di governo

In tutto il mondo, per motivi diversi ma in fondo simili, stanno prendendo vita diverse manifestazioni di malcontento popolare, spesso organizzate dai più giovani. I quali, quindi, non sembrano essere affatto fannulloni, senza un’idea propria, passivi a ciò che accade poiché lobotomizzati dai cellulari. Anzi. Le mobilitazioni in Marocco, iniziate il 27 settembre 2025, sono state organizzate proprio su Internet, da un movimento di nome GenZ 212. La chiamata collettiva è avvenuta su Discord, TikTok e Instagram. Esattamente come è successo in Nepal, in Madagascar, ma anche in Italia dove, grazie ai social, nel giro di poche ore hanno preso vita manifestazioni e presidi in cui migliaia di persone hanno protestato per fermare il genocidio del popolo palestinese.

Tra le fila dei cortei italiani, durante il weekend di mobilitazioni dopo il blocco della Flottilla, si vociferava sul fatto che forse gli ultimi fenomeni di proteste così sentite sono stati negli anni sessanta e settanta e all’epoca di Berlusconi. Tutte le altre generazioni sono rimaste piuttosto passive di fronte a una società che lentamente e silenziosamente le fagocitava. Ma questa volta no. La GenZ non ci sta più e ha deciso di dire basta a questo mondo in cui ha importanza solo chi ha soldi, potere, privilegio e, diciamocelo, una certa età. E in Marocco, dove vige ancora una monarchia costituzionale e dove disoccupazione, crisi economica e disuguaglianze sociali sono ancora molto forti i giovani non hanno potuto fare a meno di scendere in piazza. Da Marrakech a Rabat, da Casablanca a Salé si è marciato in strada per chiedere giustizia sociale.

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Le vie di Marrakech, foto di Jimmy Hassa tramite Unsplash

Proteste in Marocco, perché?

Le proteste in Marocco si inseriscono in un contesto di crescente malcontento popolare a causa delle disuguaglianze sociali che colpiscono in particolare giovani e donne. Una delle cause scatenanti delle mobilitazioni è stata per esempio la morte di otto donne durante il parto in un ospedale pubblico di Agadir, diventata simbolo della drammatica condizione della sanità in Marocco. Per non parlare del sistema scolastico e della dilagante disoccupazione giovanile, fenomeni esacerbati dalla marginalizzazione delle fasce più indigenti della società. Il Marocco, inoltre, non si è ancora ripreso dalla pandemia né dalle conseguenze del terremoto del 2023.

La ciliegina sulla torta è stata il menefreghismo e l’ipocrisia della classe politica, che ha dato l’ok per stanziare 4,2 miliardi di euro per la ristrutturazione dello stadio Prince-Moulay-Abdellah di Rabat in vista dei mondiali di calcio del 2030. Il grande evento, voluto dal principe erede Hassan per l’inaugurazione dell’impianto, è sembrata letteralmente una presa in giro alla popolazione marocchina, che arranca ogni giorno per l’assenza di servizi sociali adeguati. Gli slogan che circolano nei cortei denunciano l’ipocrisia manifesta delle pubbliche istituzioni: “Gli stadi ci sono, ma dove sono gli ospedali?” è uno dei più ripetuti. Su Discord, il movimento ha scritto: “Vogliamo un paese per tutti marocchini, per i malati, gli illetterati, i disoccupati e i poveri e non una tribuna per i politici dalla pancia piena. Abbiamo bisogno di persone responsabili al servizio del loro popolo e non dei loro interessi”.

La richiesta è anche di maggiore trasparenza da parte dei politici, di implementare una capillare lotta alla corruzione e di aumentare la partecipazione giovanile nelle decisioni politiche.

Proteste in Marocco e violenza

Oltre alle sfilate pacifiche in tutto il paese, si sono verificati anche episodi ben più caldi, segno di una stanchezza non più tollerabile. Per esempio, a Salé, vicino a Rabat, i manifestanti hanno dato fuoco ad attività commerciali tra cui una filiale bancaria mentre altri, a Ksar el Kebir, hanno lanciato pietre contro i veicoli delle forze dell’ordine. Secondo una comunicato della gendarmeria, nella notte del quinto giorno, nella località di Leqliaa, vicino ad Agadir, le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco durante un tentativo di assalto a una stazione di polizia, causando la morte di due manifestanti. Le autorità hanno giustificato l’uso delle armi come legittima difesa. 

La causa dell’assalto al commissariato è stata l‘investimento di un giovane a Oujda da parte di un veicolo della polizia. Il giovane è rimasto ferito gravemente e il video è diventato immediatamente virale, alimentando la rabbia.

Alcune organizzazioni per i diritti umani denunciano un uso eccessivo della forza da parte delle forze dell’ordine e arresti arbitrari, chiedendo quindi la liberazione dei detenuti non coinvolti in atti violenti. Dal canto suo, il gruppo Gen Z 212 ha espresso “rimpianti” per queste violenze prendendone le distanze.

Proteste in Marocco, cosa fa il governo?

La posta in gioco delle proteste in Marocco non riguarda solo il miglioramento dei servizi pubblici, ma la tenuta stessa dell’autorità statale. La coalizione di governo composta da partiti di centrodestra e liberali ha dichiarato in un comunicato di “ascoltare e comprendere le domande sociali” dei giovani, affermando di essere “pronta a rispondere in modo positivo e responsabile”. I manifestanti, però, continuano a chiedere le dimissioni del primo ministro, Aziz Akhannouch o lo scioglimento del suo governo da parte del re Mohammed VI, che ha pieni poteri e legittimità per farlo.

Il re, però, non si è ancora espresso in merito alle proteste. Ultimamente è stato molto assente, sia politicamente sia fisicamente, per problemi di salute o perché spesso si trova all’estero.

La forma di governo in Marocco

Il Marocco è una monarchia costituzionale. Dal 1999 è guidata dal Re Mohammed VI, della dinastia Alawide, al potere dal 1631. A seguito della riforma costituzionale del 2011, avvenuta grazie alle primavere arabe, egli ha visto i propri poteri ridimensionati. Nonostante questo, Mohammed VI è ancora capo di stato, nomina il capo di governo tra gli esponenti del partito vincitore delle elezioni, può sciogliere il parlamento, indire nuove elezioni, promulgare o bloccare leggi e guida il consiglio dei ministri. È anche comandante supremo delle forze armate, avendo quindi l’ultima parola sulla difesa e la polizia. È infine considerato discendente del Profeta Maometto e ha l’autorità suprema in materia religiosa.

Per il momento l’autorità del re non è stata messa in discussione dai manifestanti. Certo, è probabile che tra le nuove generazioni ci sia un’insofferenza verso un sistema ancora tanto autoritario come la monarchia ma, probabilmente, questo stato di cose conviene a entrambe le parti. Da un lato, al re fa comodo che Akhannouch sia il collettore della rabbia, così può distanziarsene. Infatti, nonostante il Primo Ministro sia un protetto del monarca, quest’ultimo un paio di mesi fa ha tenuto un discorso pubblico in cui si è mostrato critico verso il governo, dicendo che i grandi progetti infrastrutturali devono essere accompagnati anche dall’implementazione dei servizi pubblici di base. Quindi, se il re si esprimesse a favore del popolo, avrebbe il potere di eliminare Akhannouch in pochissimo tempo cosa che, appunto, farebbe piacere al gruppo GenZ 212.

Adesso, la palla devono giocarla gli organi del governo. Intanto, i giovani continuano a farsi portavoce della rabbia che la popolazione marocchina reprime da ormai troppi anni.

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