Le pioniere “invisibili” del cinema italiano che abbiamo dimenticato

Tempo di lettura 4 minuti
Dalla regia al montaggio, dalla scrittura alla produzione: una mostra a Roma celebra le protagoniste dimenticate del primo cinema italiano, oggi finalmente sotto i riflettori.  Fino al 28 settembre all’Istituto Centrale per la Grafica di Roma.

Quando pensiamo alle donne degli albori del cinema, il pensiero va subito alle grandi dive del muto: volti di magnetica e intensa espressività, icone di un divismo esasperato fatto di pellicce, lustrini e animali esotici, intrappolate negli archetipi di femme fatale o ingenue perdute.

Ciò che invece dimentichiamo – o forse non ci è mai stato propriamente raccontato – è che nella nascente industria cinematografica italiana Elvira Notari, Giulia Cassini Rizzotto, Adriana Costamagna, Daisy Sylvan, Bianca Guidetti Conti e tante altre furono protagoniste non solo davanti, ma anche dietro la macchina da presa, occupando  ruoli creativi e imprenditoriali.

La mostra “inVisibili. Le pioniere del cinema”

A ricordarle oggi c’è la mostra inVisibili. Le pioniere del cinema, promossa dal ministero della Cultura e organizzata e realizzata da Archivio Luce Cinecittà, in programma fino al 28 settembre all’Istituto Centrale per la Grafica di Roma. 

Trenta donne, trenta storie dagli inizi del Novecento fino ai primi anni Quaranta, raccontate grazie a materiali inediti, riviste d’epoca, documenti d’archivio, sceneggiature, fotografie, bozzetti e spezzoni di pellicole, che restituiscono la complessità e la modernità di queste figure dimenticate.

Si scopre così che le pioniere del nostro cinema passavano con sorprendente disinvoltura dalla recitazione alla scrittura alla regia alla produzione, senza dimenticare la creazione di costumi, il montaggio e persino la distribuzione. Vere e proprie architette della settima arte, capaci di affrontare un’industria in rapida evoluzione con talento e spirito imprenditoriale.

Chi sono le pioniere invisibili del cinema italiano

Il percorso espositivo si apre proprio con Elvira Notari, la prima regista donna italiana e fra le primissime nel mondo. Con la sua Dora Film, fondata insieme al marito Nicola, tra il 1906 e il 1930 realizzò e produsse oltre 60 lungometraggi e centinaia di corti e documentari, ambientati soprattutto tra i vicoli di Napoli e recitati spesso da gente comune presa dalla strada. Opere che anticipano di decenni il Neorealismo e disturbano l’immagine idealizzata e trionfalistica dell’Italia fascista promossa dal regime. 

Molte grandi attrici dell’epoca tentarono il passaggio dietro la macchina da presa. Gemma Bellincioni, soprano di fama mondiale, recitò in diverse pellicole del cinema muto fino a fondare la Gemma Film. Fu sceneggiatrice e regista e diresse in quattro pellicole la figlia Bianca, occupandosi anche della commercializzazione dei diritti cinematografici. Persino la diva per antonomasia, la divina Francesca Bertini, non si accontentò di recitare ma arrivò a controllare e gestire in prima persona tutte le fasi di lavorazione dei suoi film aprendo una casa di produzione con il suo nome. 

Il dinamismo e la forza delle donne in quei primi decenni consentì a diverse interpreti di non limitarsi solo ai ruoli stereotipati di eroine dannunziane, ma di cimentarsi in generi convenzionalmente meno femminili come quello comico o persino di creare personaggi come quello della misteriosa Astrea, una specie di Wonder Woman ante litteram impegnata i film pieni di azione e avventura che ne esaltano l’eleganza e la forza fisica. Di lei si conosce solo il nome d’arte, con il quale recitò in quattro pellicole tra il 1919 e il 1921, per poi ritirarsi a vita privata e far perdere ogni traccia di sé. 

I film di queste pioniere affrontano spesso temi controversi, come Umanità di Elvira Giallini, che nel 1919 osa fare un film pacifista pacifista in pieno clima di retorica postbellica. 

Ci sono anche figure più tecniche, come Frieda Klug, distributrice ungherese titolare di un’agenzia di noleggio a Torino (città in cui la presenza femminile nell’imprenditoria cinematografica è stata particolarmente ricca) o Esterina Zuccarone, montatrice che ricevette addirittura i complimenti di Walt Disney e a cui venne dedicato nel 1997 un documentario firmato da Milli Toja (alcuni spezzoni sono proiettati durante l’esposizione). 

Dal muto al sonoro: le regine del doppiaggio

Il viaggio attraverso le “inVisibili” giunge poi a una conclusione significativa, gettando luce su un aspetto fondamentale della transizione dal muto al sonoro. 

Le ultime sezioni sono infatti dedicate a quelle straordinarie attrici che, pur non essendo esclusivamente sotto i riflettori come le dive che doppiavano, hanno reso immortali personaggi e interpretazioni grazie alle loro voci riconoscibilissime e iconiche. Nomi del calibro di Tina Lattanzi, Lydia Simoneschi, Rosetta Calavetta e Rina Morelli emergono come pioniere di un’arte che ha plasmato l’identità sonora del cinema classico per il pubblico italiano, dando voce a Greta Garbo, Ingrid Bergman, Marilyn Monroe e mille altre.

Perché vedere la mostra “inVisibili” a Roma

La mostra è un’occasione importante per riscoprire le radici dimenticate di un’arte che, sin dai suoi esordi, è stata anche femminile, sperimentale, rivoluzionaria. Un modo per dare il giusto riconoscimento a queste figure che hanno plasmato il nostro cinema, sfidando convenzioni e infrangendo barriere.

L’esposizione è inoltre accompagnata da un ricco e ben curato catalogo edito da Mondadori Electa, nel quale le schede sulle trenta pioniere si accompagnano a saggi, riflessioni e contributi critici che amplificano e approfondiscono lo sguardo dell’esposizione, offrendo ulteriori spunti di analisi e ricerca.

Articolo a cura di Chiara Cecchini

Immagine di copertina di A. Sbaffi e E. A. Minerva, utilizzata su gentile concessione del Ministero della Cultura

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