Un lungo viaggio nella notte: sogno e ricordo nel film di Bi Gan
Dopo 7 anni il regista cinese torna in sala con un nuovo film, “Resurrection” in concorso quest’anno al Festival di Cannes. Per l’occasione, riprendiamo in mano il suo ultimo lavoro, “Un lungo viaggio nella notte” e cerchiamo di individuare alcune caratteristiche del suo modo di fare cinema.
“Un lungo viaggio nella notte” è il titolo con cui il film è noto in Italia. Il titolo internazionale è identico a quello di un’opera teatrale dello statunitense Eugene O’Neill, Long day’s journey into night, e ripreso anche nella versione italiana. Il titolo originale è invece traducibile letteralmente in italiano come “Le ultime notti sulla terra”, come il titolo inglese di una raccolta di Roberto Bolaño, nota in Italia come Chiamate Telefoniche. Entrambi titoli che colgono la particolare atmosfera del film, che unisce il senso di discesa che accompagna lo svolgersi degli eventi e l’aria desolata che domina le ambientazioni del film.
Una trama costruita sui ricordi
“Un lungo viaggio nella notte” si apre con il protagonista, Luo, che racconta ad una prostituta di come sia perseguitato dall’immagine di una donna del suo passato, Wen, di cui non ha più notizie e di cui decide di mettersi alla ricerca. Da questo momento, la storia del rapporto tra i due è ricostruita sullo schermo tramite una sequenza disordinata di scene che lo spettatore dovrà ricomporre durante la visione. Ne uscirà una storia cupa legata al mondo del crimine, ma anche un composto di immagini che camminano sul bordo che separa sogno, memoria e realtà. I tre piani si intrecciano sulla scena continuamente, dando al film un’atmosfera ibrida che si fa via via più forte nel corso del film. Una costruzione che raggiungerà il suo apice nell’ultima ora, girata in un solo piano sequenza ma sempre nella cornice onirica a cui siamo ormai abituati.
Un film sui ricordi, dunque, come affermato dal regista stesso. Ricordi – della storia con Wen ma anche dei suoi tentativi di ritrovarla – che si inseriscono nella cornice sospesa dei sogni e che, proprio come i sogni e come Wen per il protagonista, sembrano inafferrabili. E rimangono inafferrabili finché non diventano concreti. Perché il piano sequenza è una ripresa in tempo reale, ma la messa in scena rimane quella sognante della prima parte. Il ricordo diventa il tessuto della realtà. Quello che succede durante l’ultima ora della pellicola è già ricordo nel momento stesso in cui lo vediamo accadere. Sensazione rafforzata, per chi lo ha visto in sala, dal fatto che gli ultimi 59 minuti sono in 3D.
Tutto è un ricordo nel film di Bi Gan, che si tratti del passato o del presente o anche del futuro. In una scena i due protagonisti si raccontano di come il mondo debba finire nel 2000. E forse, nel 2000, è finito veramente: nelle scene in cui Luo va alla ricerca di Wen l’anno 2000 è passato da un pezzo e il mondo appare spoglio, i muri rovinati, i cinema vuoti e i locali sono chiusi. E anche il presente sembra finito: in piedi rimane solo la memoria.
Chi sceglierà di vedere questo film viaggerà nella notte del mondo dei ricordi insieme a Luo, dove realtà e sogno diventano memoria. E, forse, si renderà conto che anche quello che sta vivendo ora sarà un giorno parte di questo viaggio.
Articolo a cura di Davide Paolacci
Immagine di copertina via Facebook @mmMonicaZhang