Renzi riabbraccia il figliol prodigo
Un parlamento in crisi di numeri e un Governo con il fiato corto obbligano il Presidente del Consiglio ad aprire alle “minoranze” (ma a certe condizioni)
di Mattia Bagnato
Martedì 16 settembre, Matteo Renzi ha ufficializzato la nascita della “nuova” Segreteria del PD. La neonata squadra democratica, con diversi avvicendamenti e qualche new entry, sarà chiamata a ricompattare un partito sfibrato da lunghe lotte intestine. I componenti, 15 in tutto, rispecchieranno la quasi totalità delle anime che compongono il Partito, ad esclusione di Pippo Civati. Un occhio di riguardo è andato, poi, alla parità di genere (7 uomini e 8 donne) e alla rappresentanza geografica. Resta comunque arduo il compito che attende il Presidente del Consiglio. Non si placano, infatti, i malumori che continuano ad agitare il Partito a seguito della scelta di affidare i ruoli chiave agli uomini a lui più vicini.
Pax Renziana – “Con il 41% non posso fare tutto da solo”. Con questa affermazione che suona tanto di sconfitta, Matteo Renzi, sembra aver preso atto che non potrà fare a meno di tutto il “suo” partito. Così, tolta la maschera del leader pragmatico e sicuro di se, il Presidente del Consiglio avrebbe deciso di vestire quella dell’uomo di partito, sensibile a tutte le sfaccettature che compongono i “Democratici”. Un bluff o un’umile accettazione di impotenza? Quel che è certo, è che sembrano lontani i tempi in cui Matteo Renzi, forte di un consenso popolare mai registrato a sinistra dalla fine dell’epoca di Berlinguer, sprizzava audacia da tutti i pori. Ora le cose sembrano cambiate, tanto che dalla sua bocca sono uscite, per la prima volta, le parole: “elezioni anticipate”. Un’opzione, quest’ultima, che più che una eventualità “puzza” di minaccia.
“Passo dopo passo” – I cento giorni si sono trasformati in mille e il Premier sembra aver cominciato a manifestare qualche velato sintomo di preoccupazione. Una preoccupazione, che nemmeno il rinnovato Patto del Nazzareno sembra attenuare. Ed ecco allora che dall’ultima riunione, quella dalla quale è uscita la nuova Segreteria, spuntano nomi che non ti aspetteresti mai. Si va dai “cuperliani” Andrea de Maria ai “bersaniani” Enzo Amendola e Micaela Campana, passando per Gianni Tonnino (per la corrente veltroniana) a Chiara Braga (area Franceschini). La vera novità, però, è la nomina della ex forzista Stefania Covello. Finalmente una Segreteria “unitaria”, afferma Renzi, pronta a condurre il partito verso il progetto riformista. Niente di più sbagliato, secondo Cuperlo, che la ha ribattezzata, provocatoriamente, “plurale”. E così la storia si ripete, quella di una sinistra unita nella teoria ma fortemente divisa nella pratica. Sempre che il PD rappresenti, realmente, la gauche dell’elettorato italiano.
Cambiare perché tutto rimanga uguale – Questa massima “gattopardesca” sintetizza, meglio di qualsiasi altra, le polemiche che hanno accompagnato la scelta di imporre i fedelissimi del premier su: economia, giustizia, lavoro e riforme. Secondo una parte del partito, infatti, le buone intenzioni non sarebbero state confermate dai fatti. “Una squadra a trazione fortemente renziana”, come è stata definita da qualcuno, che conserva anche Guerini “Albano” e Serracchiani “Romina” nel ruolo di vicesegretari. La cosa non è passata inosservata all’interno del partito e, con tutta probabilità, a breve tornerà a galla. Per ora, però, i “frondisti” hanno deciso di seppellire l’ascia di guerra e porgere la mano, pronti, nel caso ce ne fosse bisogno, a contestare le scelte del Governo. Un Governo, pare, con il fiato corto, che fatica a trovare i numeri necessari per “imporre” il proprio tabellino di marcia.
Il redivivo D’Alema – L’erba cattiva non muore mai. Questo avrà pensato Matteo Renzi, quando è venuto conoscenza della cena organizzata da Massimo D’Alema il 15 settembre scorso. Un’incontro in perfetto stile “carbonaro”, nel quale, seduti allo stesso tavolo, c’erano tutte le “minoranze” PD (ma non solo). L’ordine del giorno, semplice quanto “reazionario”, era la strategia per arginare lo strapotere del “capo”. L’obiettivo, secondo i bene informati, non era quello di rovesciare la maggioranza renziana in seno al partito, impossibile, ma quanto meno quello di condizionarla un po’. Quanto basta per riportare all’attenzione del Segretario temi importanti come: articolo 18, riforma elettorale, soglie e, perché no, elezione del futuro Presidente della Repubblica. Così, alla vigilia di uno dei momenti più delicati per la sopravvivenza del Governo, si potrebbe riaprire lo scontro tra il rottamato e il rottamatore.
Apertura, anzi no. – L’apertura alle “minoranze”, seppur tardiva, sembra a questo punto una scelta inevitabile, anche se il Segretario sembra faticare ad accettarla. Un valzer di distensione e irrigidimento che sta trasformando il PD in un campo di battaglia. Così, se un giorno Matteo Renzi porge la mano, il seguente la ritira e ricorda a tutti che le decisioni del Partito si devono rispettare. Il tema dello scontro rimane l’articolo 18, grimaldello delle “minoranze” per forzare lo status quo interno alla maggioranza. Tanto importante da far parlare, addirittura, di referdum consultivo tra gli iscritti se il Governo non si decide a mettere da parte gli ultimatum.
Ad una settimana dalla ufficializzazione della nuova Segreteria nazionale, sembrano essere ancora molti i nodi da sciogliere. Le spinte centrifughe, prodotto di un Partito fortemente diviso al suo interno, rischiano di rallentare l’azione dell’esecutivo. Così, i “gufi” potrebbero lasciare il posto agli “avvoltoi” da tempo pronti a divorare i brandelli di una maggioranza in crisi d’identità.
(fonte immagine: ilfattoquotidiano.it)